LIGHT OF MY LIFE
(Regia: Casey Affleck, 2019, con Casey Affleck, Anna Pniowsky, Elisabeth Moss, Tom Bower)
Un padre e la sua unica figlia di undici anni si nascondono tra boschi e case disabitate, dopo che un virus ha sterminato gran parte della popolazione femminile. La giovanissima Rag è costretta dal padre ad un girovagare perpetuo e a fingersi maschio ogni volta che entrano in contatto con altri esseri umani, tutti uomini, resi brutali e violenti dalla mancanza delle donne. A distanza di nove anni da I’m still here, il suo debutto dietro la macchina da presa con protagonista Joaquin Phoenix, Casey Affleck scrive e dirige il suo secondo film che ha più di un punto in comune con The Road, il romanzo di Cormac McCarthy vincitore del Premio Pulitzer nel 2007, e con il suo omonimo adattamento cinematografico firmato da John Hillcoat nel 2009. Le differenze sono davvero minime, in Light of my life Affleck narra di un padre che tenta in ogni modo di proteggere la figlia dalla ferocia degli uomini in uno scenario post-apocalittico mentre in The Road si assisteva alle peripezie di un padre e del suo bambino in un contesto pressoché identico. La regia di Affleck, protagonista del film insieme alla giovane e brava Anna Pniowsky, è asciutta, precisa e efficace, rifugge la spettacolarità, lavora in sottrazione e centellina le scene a effetto in nome di una sobria e ricercata autorialità. Il rapporto padre-figlia è ben costruito e ha una sua coerente e sincera evoluzione nell’arco narrativo del film, che tuttavia – di per sé – aggiunge poco o nulla a quanto già visto altrove. Un’opera derivativa, che non ha certo nell’originalità uno dei suoi punti di forza ma che ha dalla sua un certo rigore e qualche bella intuizione a livello visivo e stilistico. (bs)
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