LUCKY DAY
(Regia: Roger Avary, 2019, con Luke Bracey, Nina Dobrev, Crispin Glover, Ella Ryan Quinn, Clé Bennett, Clifton Collins Jr.)

Dopo l’apprendistato alla corte di un giovane Tarantino, Roger Avary si è imposto tra i tanti irregolari sbocciati nel cinema americano degli anni 90. Non c’è un suo culto autoriale, l’appassionato scopre i suoi (due) film tramite il passaparola o facendo zapping e ne rimane affascinato, spesso dimenticando poi il nome del regista. Eppure a lui si deve un film di genere niente male come Killing Zoe che, seppur figlio di Le Iene, anticipava Pulp Fiction (a cui Avary aveva largamente contribuito in sceneggiatura) per il lavoro sull’immagine e il ritmo della narrazione; e 9 anni dopo il magnifico Le regole dell’attrazione, unico vero contributo degno di nota al cinema tratto da Bret Easton Ellis. Lo si era perso di vista, Avary, e con la sua tipica cadenza decennale dirige questo Lucky Day che viene quasi voglia di ringraziare il cielo se non si vedrà mai in Italia. Uscito solamente in Francia e direttamente on demand negli USA, stroncato quasi all’unanimità, e anche i pochi difensori si mostrano piuttosto timidi. Non si discutono una buona regia (ma una CGI orrenda) e una buona prova attoriale, ma non basta il biglietto da visita targato QT o l’argomentazione “film fuori dal tempo” per giustificare una sceneggiatura piena di dialoghi che si vorrebbero pulp, ma sembrano scritti da un fan di quel tipo di cinema piuttosto che da chi ha aiutato ad imporre quello stile. Di conseguenza, per lasciar parlare i personaggi le sequenze appaiono troppo lunghe rispetto a quanto devono dire e si finisce col perdere interesse. Senza contare l’ironia di fondo insostenibile per quanto è puerile, (il primo dialogo tra Chloe e il gestore della mostra sembra uscito fuori da un film di Salemme: questo è il livello), per poi arrivare increduli alla fine con, elencando: inutili battutine metacinematografiche; lo scontro finale che invita più volte a sospendere l’incredulità; un plot twist finale che si vorrebbe beffardo ma non vale un decimo di Velvet Buzzsaw. Tanto per gradire, il monologo di Sanchez, messo alla fine, sull’amore e il lavoro fa davvero venir voglia di assalire fisicamente il regista. A differenza di Schrader (Cane mangia cane), Tarantino col suo ultimo film l’ha capito: dopo gli anni 90 sono finiti anche i tempi del pulp. (dv)
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