APPLES – MILA

(Regia: Christos Nikou, 2020, con Aris Servetalis, Sofia Georgovasili, Anna Kalaitzidou, Argyris Bakirtzis)

APPLES – MILA

Quanto è selettiva la nostra memoria? Ricordiamo quello che abbiamo vissuto o quello che abbiamo scelto di ricordare? Christos Nikou ricostruisce la storia – immaginaria – di Aris, un uomo di mezza età che si ritrova coinvolto in un programma di recupero pensato per aiutare i pazienti che non sono stati reclamati da nessuno a costruirsi una nuova identità. Programma ideato per far fronte ad una grottesca pandemia, quanto mai attuale, che fa perdere la memoria a sempre più soggetti. Presentato a Venezia 77 nella sezione Orizzonti, Mila (Mele) è il perfetto film a tema, da festival: una scrittura onnipresente, un sottotesto importante, un aggancio drammatico ma quasi necessario all’attualità, contro una messa in scena costantemente in sottrazione, che non lascia nessun appiglio allo spettatore, nessuna fascinazione, nessuna suggestione per entrare nella storia. Perché per quanto le domande che pone la visione del film siano stringenti e drammatiche (siamo realmente la somma delle nostre azioni passate? Il nostro presente è sempre e soltanto figlio del passato?) Nikou sembra preoccuparsi più di mostrare quanto sia necessaria la visione del film piuttosto che coinvolgere chi guarda in un universo esistenziale condiviso. Mele è sceneggiato da Eftimis Filippou, fidato collaboratore di Lanthimos – per il quale ha firmato anche il Dogtooth uscito oggi in Italia ma prodotto nel 2009 -, e programmaticamente è un’opera che svela sul nostro presente e su di noi più di quanto vorremmo: mettendo in scena una perdita di memoria collettiva, mostrando quanto sia grande il valore del ricordo, ricollegandosi ovviamente alle Mele di Platone e al Mito della Caverna ma soprattutto, come sempre più spesso succede nel cinema ellenico, alla drammatica situazione politica e sociale della Grecia. Peccato che però ad una tale complessità di fonti e riferimenti non corrisponda un ordine metodologico, un’idea di cinema adatta per un’architettura così complessa, finendo molto spesso per deragliare in un montaggio frettoloso o semplicistico. Un film con dialoghi scarni, per quanto faccia bella figura sul red carpet di una mostra del cinema, non colpisce emotivamente perché offrendo troppe chiavi di lettura sembra non darne nessuna, lasciando il segno in un modo poco chiaro e insicuro, parlando di tutto per alla fine non parlare per niente. (glf)

voto_2