LAMB
(Regia: Valdimar Jóhannsson, 2021, con Noomi Rapace, Hilmir Snær Guðnason, Björn Hlynur Haraldsson, Ingvar Eggert Sigurðsson)
Maria e Ingvar, una coppia alle prese con una dolorosa elaborazione del lutto, vivono in una fattoria isolata dell’Islanda rurale. Un giorno nell’ovile fanno una scoperta bizzarra e inquietante, destinata a stravolgere per sempre la loro vita. Presentato all’ultima edizione del festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard dove è stata premiata per la sua originalità, l’opera d’esordio dietro la macchina da presa dell’islandese Valdimar Jóhannsson, autore del soggetto e della sceneggiatura assieme al poeta e scrittore Sjón, sta facendo parlare molto di sé grazie al passaggio in numerosi festival internazionali, tra cui il Trieste Science+Fiction che lo ospita fuori concorso. La trama, abbastanza semplice e lineare, contiene al suo interno una trovata decisamente grottesca su cui poggia l’intero film che va a inserirsi tra la fiaba dark e il filone del folk horror. Incastonato in scenari mozzafiato, Lamb possiede un ritmo catatonico e monocorde ed è immerso in un’atmosfera mesta e dolente che fa presagire da subito un finale tragico e ineluttabile. L’elemento fantastico e destabilizzante inserito in una cornice realistica non è certo una novità per il genere. L’impressione, alla fine, è che il film del regista islandese, nonostante un incipit suggestivo e promettente, sia piuttosto esile e acerbo e si affidi fin troppo all’espediente fantastico, utilizzato per catturare l’attenzione del pubblico e tenerla desta sino alla fine. Non aiutano a risollevare le sorti del film la performance abbastanza anonima e poco ispirata dei tre interpreti principali, tra cui spicca per notorietà Noomi Rapace, e il ricorso sui titoli di coda alla Suite n. 4 in re minore di Georg Friedrich Händel che rimanda inevitabilmente a Barry Lyndon, uno dei capolavori di Stanley Kubrick. Curioso scovare tra i produttori esecutivi il nome del grande cineasta magiaro Béla Tarr. (bs)
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