LEONORA ADDIO
(Regia: Paolo Taviani, 2022, con Fabrizio Ferracane, Martina Catalfamo, Massimo Popolizio, Nathalie Rapti Gomez)

Dicembre 1936: muore Luigi Pirandello, insignito solo un paio d’anni prima del Premio Nobel per la Letteratura. Il funerale fascista in gran pompa non si può fare per espressa volontà dello scrittore. Le sue ceneri rimarranno a Roma per essere portate in Sicilia solo nel Dopoguerra, nel 1947, tra varie peripezie di viaggio, un nuovo funerale dai risvolti paradossali, la preparazione del monumento funebre (che prese anni) e la dispersione di una parte delle ceneri al vento. La parte finale del film è la trasposizione della novella Il chiodo (inserita nella raccolta Novelle per un anno) riguardante l’omicidio di una bambina da parte di un ragazzo ad Harlem, New York. Paolo Taviani esordisce in solitaria dedicando il film allo scomparso fratello Vittorio con cui ha girato tutti gli altri suoi lavori e vince il premio Fipresci a Berlino (dove i fratelli avevano conquistato l’Orso d’oro con Cesare deve morire dieci anni or sono). L’incipit è grande cinema, vera e propria science fiction sulla morte con filmati di repertorio e palese e potente citazione kubrickiana a conchiudere il senso dell’operazione, straniante rivisitazione in b/n dell’arco di vita del regista stesso (Taviani è nato nel 1931): la guerra, il cinema, l’Italia kafkiana in cui si ritrova. Più arduo far collimare con il progetto il segmento conclusivo dell’opera, avulso stilisticamente e per tonalità: nelle intenzioni si tratta probabilmente di un’amara rappresentazione dell’insensatezza della violenza che si insinua nel fiore degli anni e della vita, ma la giustapposizione appare poco funzionale e finisce col dissipare parte della tesa concentrazione del film. (dz)
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