GODLAND – NELLA TERRA DI DIO
(Regia: Hlynur Pálmason, 2022, con Elliott Crosset Hove, Ingvart Eggert Sigurosson, Vic Carmen Sonne, Jacob Lohmann)
Fine Ottocento. La Chiesa luterana danese invia il giovane pastore Lucas nel nord dell’Islanda per la costruzione di una nuova chiesa. Il sacerdote approfitterà del viaggio per fotografare i luoghi impervi della colonia danese e le comunità che li popolano. Ma le difficoltà dell’itinerario via terra e la diffidenza dei residenti metteranno a dura prova la sua missione. Dopo il buon successo di critica ottenuto con l’opera seconda A White, White Day – Segreti nella Nebbia (2019), visto relativamente poco da noi, il regista islandese Hlynur Pálmason (classe 1984) alza decisamente le ambizioni in questo film che ha folgorato molti all’ultimo Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard. E si può capire: al suo attivo ci sono la “costrizione” del formato 4:3 che fa piazza pulita di ogni tentazione estetizzante e contemplativa (gli scorci paesistici diventano così più preziosi, potenti e “terribili” come l’ambiente naturale dell’isola); la fortissima polarizzazione tra la lingua dei “dominatori” danesi e l’idioma nativo, evidente fin dal titolo originale e vero e proprio fil rouge delle vicende di alterne resistenze che Lucas e la sua comunità di destinazione si dimostrano; un pessimismo al netto di incrinature sentimentali che si riverbera nella laconica osservazione della violenza come parte ineliminabile di relazioni prive di mutua comprensione. Certo, se Godland a tratti lambisce persino profondità herzoghiane, in altri momenti ha un passo che sembra fin troppo studiato (non a caso il film difetta di concisione durando oltre due ore e venti) e alcune sequenze sono ridondanti (si pensi alle prove di lotta). Non significa che non si possa apprezzare un indubbio nuovo talento del cinema europeo. (dz)
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