DELTA
(Regia: Michele Vannucci, 2022, con Alessandro Borghi, Luigi Lo Cascio, Emilia Scarpati Fanetti, Denis Fasolo, Greta Esposito)
Il delta del Po è il teatro dello scontro tra bracconieri e pescatori. Osso (Luigi Lo Cascio) vuole difendere il fiume dalla pesca indiscriminata di un gruppo di bracconieri rumeni in fuga dal Danubio. Insieme a loro c’è un italiano, Elia (Alessandro Borghi), nato e cresciuto in quelle terre. Travolti dalla violenza e dalla sete di vendetta, i due si affronteranno tra le nebbie del delta, scoprendo la loro vera natura in un duello senza vincitori. È sempre lodevole quando il cinema italiano lascia i territori sicuri e ampiamente praticati per addentrarsi in scenari inconsueti e atmosfere inedite. Però intraprendere e sperimentare vie nuove non significa in automatico che il risultato finale possa dirsi riuscito. L’ambientazione di Delta è suggestiva, il suo punto di forza, peraltro vicina e affine a quella del distopico La terra dei figli di Claudio Cupellini, tratto dall’omonimo fumetto di Gipi. Dopo una prima parte tutto sommato interessante, compatta e dignitosa, l’opera di Michele Vannucci, alla sua seconda prova dietro la macchina da presa dopo aver esordito nel 2016 con Il più grande sogno, mostra preoccupanti segni di cedimento a causa di una sceneggiatura claudicante, con diversi passaggi poco plausibili, e una recitazione fuori controllo. Nella parte finale, inutilmente tirata per le lunghe, si rimane abbastanza sconcertati dalla seriosità, alquanto fastidiosa, esibita con sprezzo del ridicolo, con scelte registiche deleterie e inopportune (lo sfiancante ricorso ai droni, una cattiva direzione del cast, il pessimo e reiterato utilizzo di E la luna bussò della Bertè). Il volersi prendere troppo sul serio, senza averne i mezzi e gli strumenti adeguati, ricorda un altro titolo recente, forse ancor più sbagliato e ambizioso, senz’altro più costoso, prodotto sempre dalla Groenlandia di Matteo Rovere (che ne era anche il regista) e interpretato sempre da Alessandro Borghi. Ci riferiamo a Il Primo Re, un film fragile, goffo e pretenzioso che finiva col rimanere schiacciato sotto il peso abnorme e smisurato delle proprie ambizioni. Purtroppo, in questo caso, la famosa massima di Agatha Christie un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi (Rovere – Groenlandia – Borghi) fanno una prova appare calzante come non mai. (bs)
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