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ALICE E IL SINDACO

ALICE E IL SINDACO

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L’incertezza e la modestia.

Alice e il Sindaco è un film piano e diretto, ma dietro le apparenze suona al medesimo tempo concitato ed interlocutorio. Nicolas Pariser, che scrive e dirige, non solo non sbandiera soluzioni, ma si china anche ad ascoltare i personaggi, la trentenne post-studentessa e il navigato politico di professione, per fare in modo che da loro salga a galla tutto il disorientamento che li pervade. Che è “generazionale” soltanto perché è di questi anni e non perché riguarda una generazione: Alice e il Sindaco non è un’opera sui trentenni o sui quarantenni o su una qualsiasi altra categoria che si ferma a contemplare lo sfacelo o la propria delusione di fronte a “come siamo diventati” o “come siamo ridotti” (cosa che probabilmente avrebbe fatto qualche regista di casa nostra di fronte a un tema del genere: magari per assolvere tutti come fa Muccino in Gli anni più belli).

Alice e il Sindaco sceglie invece più umilmente di non avere un’unica morale, tantomeno di fare un discorso semplice. E per una volta non si tratta di coltivare un’ambiguità di prammatica o l’agnosticismo: ma con responsabilità di sapere quando è necessario fare un passo indietro per sperare di farne qualcuno avanti. Il sindaco non ha più idee e la politica, che è un’emanazione della filosofia, tenta di rifarsi alla sua fonte. E lo fa attraverso una giovane che non è neppure una professionista vera, ma che proprio per questo ama interrogarsi senza schermi e sicumere dentro le sue incertezze, tra le pieghe di un presente che pare al contrario dominato solo dalla spendibilità immediata e dagli automatismi degli uffici stampa assoggettati al marketing. Contro il pensiero immodesto e dogmatico di coloro che pretendono di giudicare attraverso criteri sbrigativamente utilitaristici, il sindaco e la filosofa discutono, dibattono, si ascoltano e si aprono: ed è inevitabile che diventino più vulnerabili, indifesi, ma anche veri e umanissimi, con questo affrancando l’opera da ogni scappatoia nel film a tesi.

Chi lo desidera potrà continuare a credere che quello di Pariser sia niente più che un film “gentile” sul declino della tradizione della sinistra europea e sul crepuscolo dei partiti tradizionali, magari a fronte dell’emergere di movimenti populisti o manichei che sono forse solo più spicciamente adusi alla tecnocrazia imperante. E certo non sarà il caso di istituire paralleli con la dura militanza dei film di Stéphane Brizé. Eppure nel suo umanesimo solo sussurrato Alice e il Sindaco sa lo stesso interrogarci e rovistare sempre con molta discrezione dentro la nostra contemporaneità: e se in chiusura pare farsi largo il Bartleby di Melville con il suo ripudio – molto odierno – dell’impegno, c’è anche l’opera postuma di Rousseau – Le fantasticherie del passeggiatore solitario, che Alice regala al suo ex datore di lavoro – a ribadire la natura del film, che rimbalza tra la piccola autobiografia di un momento storico di passaggio e la meditazione empatica sulla possibilità di ricostruire con pazienza e modestia una visione comune.

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Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.