Nello spazio nessuno può sentirti urlare.
Dal 29 al 31 maggio tornano sul grande schermo, distribuiti da Lucky Red, i primi due capitoli di Alien, una delle saghe più amate e venerate nella storia del cinema. Un’occasione unica per ammirarli al cinema e per farli conoscere alle nuove generazioni che forse non li hanno visti neanche sul piccolo schermo domestico. Il primo film, uscito nel 1979, ha rappresentato una rivoluzione per i due generi cinematografici a cui appartiene: la fantascienza e l’horror. Diretto da Ridley Scott, al suo secondo lungometraggio dietro la macchina da presa dopo il folgorante esordio di un paio di anni prima con I duellanti, Alien è a tutti gli effetti un horror ambientato nello spazio con una magistrale costruzione della tensione e un mirabile utilizzo degli spazi. Per il ruolo di Ellen Ripley, un personaggio destinato a emergere con forza nel corso di un film che nella prima parte non ha un protagonista assoluto ma è di fatto un’opera corale, fu scelta Sigourney Weaver, attrice newyorkese ai tempi semisconosciuta ma destinata a un brillante avvenire. Ellen Ripley è tra le prime eroine femminili in un film di fantascienza costruito come se fosse uno slasher, col terrificante xenomorfo, ideato dall’artista H.R. Giger, al posto del maniaco di turno impegnato a eliminare a uno a uno i componenti dell’equipaggio della Nostromo, l’astronave da trasporto che interrompe il suo viaggio di ritorno verso la Terra dopo aver ricevuto un misterioso segnale di soccorso proveniente da un pianeta sconosciuto. Il primo Alien si gioca tutto sull’attesa, con le apparizioni dello xenomorfo sapientemente dosate e centellinate. Gli ambienti tetri e oscuri e i corridoi labirintici della Nostromo diventano il suo raggio d’azione, ideali per nascondersi e mimetizzarsi per poi colpire in modo repentino e inaspettato. Contraddistinto da alcune sequenze disturbanti e indimenticabili, entrate da tempo nell’immaginario collettivo, come il “polipo” che si attacca alla faccia di uno dei componenti dell’equipaggio (il cosiddetto facehugger, il primo di una lunghissima serie) e la successiva, scioccante “nascita” del primo xenomorfo fuoriuscito dal petto dell’uomo squarciato dall’interno, Alien è il primo, superlativo e leggendario tassello di una tetralogia che rappresenta un unicum nella storia del cinema, perché affidata a quattro registi diversi (1) che porteranno la loro visione e la loro cifra stilistica nella saga fantahorror, dando vita a quattro capitoli completamente diversi uno dall’altro.
A distanza di sette anni dal primo film esce l’atteso sequel, Aliens – Scontro Finale, che riparte esattamente laddove si era concluso il capostipite ma con un balzo temporale in avanti di ben 57 anni, il periodo in cui Ripley è rimasta immersa nell’ipersonno (senza quindi invecchiare di un giorno) a bordo della navetta di salvataggio dopo la distruzione della Nostromo. Siamo nel 1986, in piena Reaganomics. Dopo il rifiuto di Scott di girarne il seguito, alla regia troviamo James Cameron, autore della sceneggiatura insieme a Walter Hill e David Giler. Il regista canadese, qui al suo terzo film su un totale di nove lungometraggi diretti in quarant’anni di attività, è reduce dal successo eclatante di Terminator. La fantascienza è il suo genere d’elezione, a cui si legherà in maniera continuativa e indissolubile, salvo un paio di eccezioni rappresentate da True Lies e Titanic, per tutta la sua carriera: che lo porterà ad essere il regista capace di frantumare ogni record possibile e immaginabile al box office, impegnato ormai a gareggiare con se stesso per cercare di superarsi. Con Aliens muta radicalmente l’approccio a livello visivo e stilistico e cambia pure il genere, col passaggio dall’horror al war movie, con un esercito infinito di xenomorfi pronti a far ripiombare nell’incubo il tenente Ellen Ripley, in missione di salvataggio sul planetoide LV-426 dove tutto è cominciato, assieme a una squadra d’assalto di marine coloniali. Cameron si accosta alla fortunata e redditizia saga aliena in tutt’altro modo rispetto a Scott, che riduceva all’osso le apparizioni del mostro lavorando principalmente sulla suspense e sulla tensione. Il cinema ipertrofico, adrenalinico e muscolare di James Cameron prevede invece un altro canovaccio in cui si procede per accumulo e per crescita esponenziale di personaggi, mostri, armi e di minutaggio finale (137 minuti divenuti poi 148 nella director’s cut contro i 117 del primo capitolo). Nella sua ipertrofia esibita il regista di Terminator e Avatar non dimentica però di curare le ambientazioni, minacciose e suggestive, e di costruire un crescendo narrativo efficace e inesorabile, giocato nella prima parte sull’attesa che il nemico si palesi agli occhi dei marines che nel loro primo giro di perlustrazione della colonia, deserta e disabitata, trovano solo i segni del passaggio alieno. Nella seconda parte ha inizio lo scontro, la battaglia può finalmente deflagrare davanti ai nostri occhi, presi d’assalto da un impeto e da un’irruenza visiva e sonora davvero straordinarie. Come già accaduto nel primo capitolo anche qui l’evoluzione narrativa fa sì che dal corale si passi al singolo, con Ripley che a poco a poco s’impossessa nuovamente della scena, tornando a esserne la protagonista assoluta. L’indimenticabile ed epocale scontro finale vede contrapposta la gigantesca e terrificante regina xenomorfa, madre aliena furiosa e in cerca di vendetta per la distruzione delle uova che componevano il suo alveare, all’eroina Ellen Ripley, madre putativa (2) pronta a rischiare e sacrificare la sua vita per proteggere una bambina, l’unica sopravvissuta della colonia.
I primi due Alien sono le punte di diamante di una tetralogia completata da Alien³ e Alien – La clonazione, diretti rispettivamente dall’allora esordiente David Fincher (3) e dal francese Jean-Pierre Jeunet. Impossibile per chi scrive esprimere una preferenza tra i primi due titoli della fortunata saga, così unici e così diversi tra loro. È giusto considerare entrambi per quello che sono: due pietre miliari nella storia del cinema.
(1) A causa del rifiuto di Ridley Scott di girarne i vari sequel. Il regista inglese tornerà alla sua creatura solo 33 anni più tardi con Prometheus (2012), il primo prequel di Alien a cui seguirà cinque anni dopo Covenant (2017) sempre diretto dall’autore di Blade Runner.
(2) Dotata di una dolcezza infinita nei momenti in cui la vediamo confortare e rassicurare la piccola sopravvissuta, traumatizzata dopo aver assistito allo sterminio della sua famiglia e di tutta la colonia da parte degli xenomorfi.
(3) Fincher rinnegò il film a causa delle ingerenze dei produttori che ne limitarono la libertà creativa. Dieci anni dopo ne uscì una versione più lunga di ben mezz’ora in home video, con le tante scene tagliate rimesse al suo posto. Edizione che non può comunque essere considerata una director’s cut perché Fincher non supervisionò il nuovo assemblaggio.
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