LIVELLO 1: la storia.
Nel 2104, la nave Covenant è in viaggio verso il pianeta Origa7 per colonizzarlo e dare vita ad una nuova Terra. Un segnale radio non previsto, però, vira l’attenzione dell’equipaggio verso un pianeta sconosciuto dove pare possa essere agevolmente ospitata la vita, per giunta più vicino di Origa7. Ecco allora che il primo ufficiale Chris Oram, nonostante il dissenso del sottoufficiale Daniels, decide di andare in ricognizione: purtroppo il pianeta sconosciuto si rivela essere quello dove gli Ingegneri si erano schiantati in Prometheus, primo prequel della nuova quadrilogia, e dove l’infezione – ovvero gli alieni xenomorfi – aveva distrutto la razza proprio grazie all’aiuto di quell’androide David unico superstite del film precedente.
LIVELLO 2: i sottotesti di Alien.
Quando uscì il primo capitolo, nel 1979, dall’oscurità della nave Nostromo usciva fuori, splendido e terrificante, il Male. Che con la sua testa falliforme riportava tutto ad una grande, omnicomprensiva metafora sessuale (HIV compreso, erano gli anni in cui stava emergendo). La malattia devasta da dentro, come lo xenomorfo. E più avanti, con Cameron, Fincher e Jeunet, si accentuò la metafora sessuale sfumando i connotati di Ripley e mettendo al centro la maternità, la riproduzione. Fino ad arrivare alla nuova quadrilogia firmata Scott: arrivando quindi alla Creazione.
LIVELLO 3: le metafore di Ridley Scott.
La Creazione: uno dei misteri più affascinanti dell’esistenza, forse il più imperscrutabile, sicuramente il più discusso. Ridley Scott l’ha affrontato, declinandolo in salsa sci-fi, nel seminale Blade Runner e più larvatamente nel suo primo Alien, ma è proprio con Prometheus e ora con Covenant che affonda la sua regia meticolosa e le sue immagini entomologiche in una materia tanto oscura da risultare alla fine irrisolvibile. È l’origine della specie quella che si indaga qui: la specie degli xenomorfi, ovviamente, ma per traslato (e neanche poi tanto) quella dell’Uomo, della conoscenza, dell’identità e del senso più profondo dell’Io. Roba da perdercisi dentro: ed infatti, ad una prima visione, Covenant lascia più dubbi che certezze, girando intorno alle figure enigmatiche e speculari di David 8 e Walter (entrambi interpretati da un magnifico Michael Fassbender) e affondando le sue visioni e le sue speculazioni filosofiche sul senso di maternità legato al mistero della nascita intesa appunto come Creazione. Che poi sir Ridley abbia un’ipertrofia dell’Ego non è un mistero per nessuno: e allora ecco che inserisce tanti inside jokes e aggiunge al mito di Prometeo quello di Frankenstein, senza farsi mancare citazioni da e su Byron e sua moglie Shelley ed echeggiando richiami ad Ozymandias “re dei Re”. Covenant è larger than life, e questo è ovvio: ma la cosa più bella è come Scott sappia trasformare le sue ossessioni esistenziali in materiale cinefilo e cinematografico ribollente ed affascinante, narrativamente impervio ma estremamente interessante.
LIVELLO 4: il film all’interno della saga.
Non staremo qui a dire che Covenant è il film più riuscito di una delle saghe cinematografiche più ricche e prolifiche della storia del cinema (tralasciando gli errori di percorso AvP primo e secondo, nessun film della mitologia di Alien è mai stato meno che “bello”): ma di certo non è il più brutto, perché il diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge. È vero che, a livello narrativo, lo sviluppo della trama a lunga gittata è confuso e alcuni risvolti confondono non poco le idee (come ha fatto David 8 a creare i suoi xenomorfi? Come ha fatto a salire su una nave aliena per diffondere il patogeno sul pianeta natale degli Ingegneri? Perché gli Ingegneri hanno creato il patogeno? e così via), ma ugualmente non tocca a noi ripetere che poco importa se hic et nunc un tratto di storia non è comprensibile: come si usa oggi, come la serialità TV ha insegnato, una mastodontica macrostoria è più utile di due misere ore, e allora perche una mitologia impervia e affascinante come quella di Alien deve essere esaurita in un solo prequel? Diamo per buono che Scott sappia dove stia andando: e se così poi non fosse, almeno godiamoci il bacio omosex più assurdo della storia del cinema fra David 8 e Walter, e quindi la meravigliosa interpretazione che Fassbender dà dei suoi due androidi (che fa quasi il paio con il Jeremy Irons di Dead Ringers). Per tutto il resto, aspettiamo e vediamo dove questo viaggio ci porterà.
LIVELLO 5: il film all’interno del cinema.
E’ davvero strano che, mentre escono “autori” un tanto al chilo facilitati da nuove piattaforme e nuove ide(ologi)e, il genio di Ridley Scott venga ripetutamente, costantemente sbertucciato. In Covenant sappiamo benissimo che David 8 ha preso il posto di Walter; sappiamo perfettamente come si sviluppa un chestburster, non è un segreto per nessuno che, quando il primo ufficiale Chris guarderà nelle uova, un polipo mostruoso gli salterà in faccia attorcigliando la coda intorno al suo collo, inseminandolo oralmente, e fatalmente. Né tantomeno qualcuno appartenente al fandom del brand potrà entrare in sala in trepida attesa di null’altro che di vedere le nuove evoluzioni delle malate fantasie di Giger.
Insomma, non c’è (quasi) nulla che possa stupire fino in fondo lo spettatore, e Scott lo sa. Ragion per cui, lavora non sulla suspense creata dal colpo di scena, bensì sulla materia stessa dell’attesa: sappiamo che accadrà, eppure lo vogliamo e sobbalziamo quando accade. Ed è incredibile vedere un autore che, pur consapevole della non originalità della materia trattata, riesce a girare un film lungo più di due ore e non perdere mail il filo della tensione, acchiappando lo spettatore fin dalle primissime immagini senza poi lasciarlo più, arrivando dritto fino alla fine. Ed è proprio questa la magia del cinema, la potenza del racconto, la forza evocatrice dell’arte: non cosa si racconta, bensì come lo si racconta.
Alien: Covenant è un film talmente monolitico, talmente immenso nelle intenzioni e nelle proporzioni da essere impossibile parlarne senza distinguere i suoi livelli, i suoi piani di percezione, gli strati di cui è formato narrativamente e tecnicamente. Forse, così complesso da non poter neanche essere giudicato bello o brutto.
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