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ANOMALISA

ANOMALISA

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Tutto (troppo?) in una notte.

In un suo celebre discorso tenuto al Kenyon College, David Foster Wallace metteva in guardia i giovani laureati americani contro la progressiva e quasi ineluttabile immersione in quell’atteggiamento di default tipico della classe media occidentale. Un lavoro frutto di una buona istruzione, che impegna gran parte della giornata, abitudini prestabilite dedite al sostentamento e un senso d’impotenza che sconfigge la propria capacità e libertà decisionale, appena acuito dal ritenere il prossimo, compagno di sventura, sulla nostra stessa barca. Michael Stone, il protagonista di Anomalisa, prova (forse) a sfuggire a questa logica grazie a una parentesi sentimentale che può regalargli una redenzione (?) inaspettata.

Michael infatti ha una moglie con la quale a mala pena parla e un figlio più interessato ai regali che ad altro, è una persona ammirata nel suo campo (un luminare del customer service, a quanto pare) e ha provocato più di un dispiacere in passato, specie alle donne. Fin qui niente di nuovo, se non fosse che Michael è “uscito” dalla testa di Charlie Kaufman (qui coadiuvato alla regia da Duke Johnson), il cervellotico sceneggiatore e regista il cui brand sono i labirinti della mente da novello Borges, dedicati a personaggi eccentrici e spesso borderline. Questa volta però la struttura è piuttosto lineare, con la quasi sincronia tra i tempi di storia e racconto; ma c’è di più, perché Anomalisa è un film in stop motion. Kaufman, sia come scrittore che come regista, è sempre stato abbonato alla visionarietà scaturita da quelle profondità psicologiche che il suo cinema cercava di demistificare (e perché no buggerare) pescando tra i topoi di un realismo magico e di un fantastico calcolato al millesimo: il doppio (Il ladro di Orchidee), l’identità (Essere John Malkovich), fino all’annientamento della propria memoria come risposta all’amore disperato (The Eternal Sunshine of the Spotless Mind). Qui, al contrario, sembra delegare un po’ troppo la sua verve eccentrica alla tecnica scelta, che già altri autori avevano sperimentato: il Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson, che trovava terreno fertile per i suoi già grotteschi clan da comics, e poi Tim Burton, che grazie allo stop motion ha impresso ancor di più la firma gotica al suo cinema, già dagli esordi. In questo caso pare un freno più che una necessità, ed è spesso veicolo di facili metafore come: “Siamo tutti uguali? L’autenticità è solo un’anomalia?” (nomen omen un tantino ridondante, come la faccia sfregiata di Lisa, diversa da quella “applicata” agli altri personaggi, eccetto ai protagonisti). Certo, la pesantezza dei movimenti – sintomo di una goffaggine sociale ed emozionale – così come la nebbia che avvolge la storia affascinano, ma sono forse gli spunti offerti dal puro racconto che sono i più interessanti, come il discorso sulla voce. Si va sempre oltre il limite con un unico timbro di voce maschile applicato ai personaggi, già marchiati dalla stessa maschera, sfiorando l’irritante, ma l’argomento di base è quello di uno scavalcamento di forma della propria incapacità attraverso il lavoro di Michael: la pratica del customer service (è possibile aiutare gli altri se non si è nemmeno in grado di aiutare se stessi?) regala qualcosa su cui riflettere; la barriera visuale che lascia filtrare la sola dimensione sonora (clienti e assistenti percepiscono solo la voce gli uni degli altri) riesce forse a mostrare la parte più autentica di noi stessi.

Purtroppo a non convincere è il flusso narrativo. Kaufman rinuncia sì ai dedali ingombranti e fin troppo disorientanti se spinti al parossismo, per intenderci come nel suo primo film da regista, Synecdoche, New York, preferendo la linearità; poi però ha il difetto di appoggiarsi su un meccanicismo oscuro e poco oliato che sembra andare per accumulo. Rimane, per carità, la spinta onirica: si veda la sequenza in cui la faccia di Michael gli cade letteralmente dalla testa, preludio di un’improbabile “fuga dal mondo dei sogni” contro tutto e tutti, che però non raggiunge la necessità di altri film evocativi ed allucinati del genere “tutto in una notte”. Le buone intenzioni, frutto anche dello stop motion, è pur bene concederle ad Anomalisa, che ha anche il merito di dipingere uno squallore umano che non è mai erotico, anche quando mostra corpi completamente nudi. Ma certe invenzioni come la voce di Lisa che cambia nel finale (ce n’era davvero bisogno?), chiaro segno di come sia diventata come tutti gli altri agli occhi dell’irrecuperabile Michael, suona un po’ fasulla. Kaufman sembra insistere su troppe strade, compresa la gratuita parodia della grandezza dell’America messa in scena da Michael, lui che è inglese, durante la sua conferenza. Non cura abbastanza gli spunti, non solo visivi, che avrebbero dato maggior solidità alla sua parabola sociale e sentimentale, come quando Lisa si cimenta in una toccante versione del ritornello di Girls Just Want to Have Fun di Cyndi Lauper. Non riesce a nascondere, purtroppo, i difetti di un film ansioso di essere definitivo nel mostrare la desolazione della vita borghese che imbriglia Michael (e tutti noi?), nella sua nebbia velenosa di idiosincrasie anche banali, rendendo impossibile una redenzione. Un già visto che la confezione animata, seppur ben fatta, non riesce a giustificare.

voto_2

Matteo Catalani
Il cinema l’ha sempre accompagnato (ricorda ancora i pomeriggi passati davanti ai DVD dello zio in compagnia di Terrence Malick e Michael Mann, per poi scoprire come tenere la penna in mano grazie a Glengarry Glen Ross e ai film di Wilder) dirottandolo verso un’(in)felice carriera umanistica a discapito di un futuro scientifico già per lui preconfezionato. Ama lo storytelling in tutte le sue forme, che cerca di far sue con abnorme fatica. In attesa di svegliarsi un giorno avendo già nel cassetto un esordio alla Zadie Smith, o di venir selezionato come point guard titolare dai Portland Trail Blazers, trascorre i suoi indolenti pomeriggi guardando film e tentando di mettere ordine nei suoi pensieri (e nella sua vita). Con “Il Bel Cinema” è alla sua prima esperienza in un sito specializzato.