Il nuovo e imprevedibile film di Gareth Evans.
Primi del Novecento. Thomas s’imbarca in incognito per Erisden, una piccola e remota isola gallese dove vivono gli adepti di una misteriosa setta, per ritrovare e liberare la sorella, rapita a scopo di estorsione. La comunità di Erisden è guidata dal profeta Malcolm che finge e millanta di essere l’intermediario terreno della divinità che veglia e protegge l’isola. Thomas si fa passare per uno dei nuovi membri della setta nella speranza di riuscire a rintracciare la sorella e riportarla a casa.
Davvero curiosa la parabola artistica di Gareth Evans, regista gallese – oltreché sceneggiatore e montatore di tutti i suoi film – divenuto famoso a livello internazionale con i primi due capitoli di The Raid, girati entrambi in Indonesia e ormai di culto per la sbalorditiva perizia tecnica delle sequenze d’azione e le incredibili coreografie dei combattimenti dove a farla da padrone è il Silat, un’arte marziale originaria del Sud Est Asiatico. Con Apostolo Evans torna a casa, cambia genere e registro, allarga ancor di più il proprio pubblico di riferimento grazie alla distribuzione internazionale garantita da Netflix e costruisce un impianto narrativo di grande efficacia, sorretto da un’ambientazione suggestiva e da un clima opprimente e ansiogeno. La piccola comunità rurale insediatasi sull’isola, lontana dal mondo civile, vive di stenti e di miseri raccolti, è dominata da un fanatismo religioso in cui la fede è vista solo come dolore e sofferenza, tormento e illusione, inganno e tortura. L’isola è marcia e impura, una divinità in catene avvelena la terra, i cuori e le menti dei suoi abitanti. Una comunità asfittica e malata, intrisa di violenza e follia, che vive di rituali sanguinari e medievali come la purificazione tramite le più indicibili torture.
Il sangue scorre copioso e abbondante in questa sinfonia lugubre e funerea infarcita di sequenze potenti e disturbanti (solo per stomaci forti) sorrette da una tensione crescente e da uno score musicale serrato e incalzante che non concede tregua o scampo allo spettatore.
Evans, specie nella prima parte, guarda e rende omaggio alle atmosfere malsane e morbose di The Wicker Man, horror di culto diretto da Robin Hardy nel 1973 con un sublime e istrionico Christopher Lee. Nella seconda parte inizia a manifestarsi l’orrore, irrompe la componente soprannaturale. Non tutto fila liscio nelle due ore abbondanti di Apostolo, che però ha il merito di combinare e mescolare generi e influenze, di mutare pelle più volte e di non lesinare sul gore, riuscendo in più d’una occasione a spiazzare e a sorprendere. Un’opera estrema e bizzarra, densa di rimandi e significati, difficile da etichettare e catalogare, che ruota intorno alle brutali leggi che vigono e regolano la piccola comunità e alla natura primordiale e feroce dell’isola che si nutre e si rigenera nel sangue.
Gareth Evans conferma di possedere un talento non comune per la messa in scena, curata in modo minuzioso e maniacale, e non si preoccupa più di tanto di deludere schiere di fan che probabilmente avrebbero voluto un altro action pieno di combattimenti e invece si ritrovano al cospetto di un film in costume anomalo e ferino.
Sign In