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Una (piccola) boccata d’ossigeno per il DCEU.

Non deve essere facile inseguire la Marvel pigliatutto di questo decennio. Specialmente se il Marvel Cinematic Universe surclassa per densità e capacità di incontrare lo spirito del tempo (qualsiasi cosa si intenda con questa espressione: io mi riferisco alla diffusa idea – ma forse è più una sensazione globale – che quello della Marvel sia l’unico cinema spettacolare possibile del ventunesimo secolo) un DC Extended Universe che, al di là del nome dei supereroi coinvolti, non pare aver finora convinto a fondo i potenziali fan (per carità, stiamo sempre parlando di film dagli incassi globali stellari: ma nel computo totale Suicide Squad e Justice League sono stati dei flop senza se e senza ma). Vecchia storia, come il rapporto tra la Apple e le aziende che vorrebbero essere la Apple, tra leader e followers. Che si risolve solo, probabilmente, con la creazione di una cultura diversa e, in un modo o nell’altro omogenea: l’impronta iniziale, dovuta a Zack Snyder, era in questo senso per niente rassicurante, fondata com’era su un carnevale di supereroi inseriti in situazioni sempre più squinternate e meno decifrabili (penso soprattutto al temibile Batman V Superman: Dawn of Justice, ma non solo), ed esprimeva peraltro una cifra complessiva ben più caciarona e ribalda rispetto al trionfante MCU.

L’assunzione di James Wan al timone di questo Aquaman contribuisce a garantire un maggior equilibrio al risultato finale. Il regista del primo Saw e dei due The Conjuring, dopo aver dimostrato la sua affidabilità anche nell’action con l’ottavo Fast & Furious, sposa la filosofia di fondo che, a prescindere da tutto, vuole essere più facilmente fruibile al pubblico occasionale e – se questo vuol davvero dire qualcosa – pronto a vivere il film come avventura a sé stante, non preoccupandosi che sia parte di un universo (o multiverso, come piace dire alla DC Comics); come riempitivo effettivo di una serata, non come tassello di una discussione e di un discorso che prosegue tra Facebook, WhatsApp, Twitter e Instagram e che abbraccia i massimi sistemi del divertimento cinematografico contemporaneo. Importa davvero che Aquaman abbia già fatto la sua comparsa in Justice League e questa sia l’avventura solista? In realtà no, lo stolido Jason Momoa fa il proprio tamarrissimo ingresso nel sottomarino assaltato dai pirati guidati da Black Manta e mantiene la stessa faccia qualsiasi situazione si trovi ad affrontare per due ore e 23. Messa in questi termini, la faccenda riveste un’altra dignità: come insegna il caso (peraltro molto più stratificato ed eclatante) dei Guardiani della Galassia, il recupero dell’avventura più o meno “classica” paga buoni dividendi (il pubblico infatti dà segni di gradimento worldwide). Lo schema di Aquaman ruba sì a destra e a sinistra, da Flash Gordon e da tutte le maggiori saghe, da Star Wars e dal Signore degli Anelli e anche dai Marvel (Black Panther), ma si mantiene fedele a una semplicità di fondo che rimanda – qui sin troppo semplicisticamente – ai cicli di avventure della Tavola Rotonda, addirittura con la prova decisiva del recupero del tridente dalle mani di re Atlan, l’Excalibur del mezzosangue metà terrestre e metà atlantideo. I cultori del fumetto potranno lamentare la carenza di complessità (il personaggio ha attraversato varie fasi e allo spettro dei suoi poteri si fa cenno solo fugacemente, per esempio nella sequenza all’acquario in cui comunica telepaticamente con le creature marine), i Marvel-dipendenti la basicità del plot; eppure la linearità complessiva fa perdonare anche le sbandate, specie nella CG importuna del primo scontro tra Aquaman e il fratellastro Orm e nell’assenza di pathos delle peripezie di Aquaman, che non si trova mai davanti a prove davvero sfidanti e che lo impegnino all’estremo. Se non fosse per la “parentela” del personaggio con Thor, si potrebbe pensare a questo film come un episodio leggero del DCEU, un baraccone pieno di frastuono e sostanzialmente innocuo, un luna park costruito su un’ironia di basso profilo e con pezzi di bravura fini a se stessi, ma non per questo inconsistenti (il piano sequenza della parentesi in Sicilia).

Naturalmente il cerchio non è chiuso e la storia continua, ci sarà modo in seguito di approfondire i personaggi che, protagonista a parte, sembrano ancora poco caratterizzati. Ma se il multiverso targato Warner non è ancora davvero decollato (con questo siamo già al sesto film), Aquaman è almeno un passetto avanti (e una boccata d’ossigeno) che ci voleva.

voto_3

Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.