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AVENGERS: AGE OF ULTRON

AVENGERS: AGE OF ULTRON

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Un sequel confuso in cui sparisce “l’umano”.

A che pro darsi tanta pena per salvare la Terra? Potrebbe chiederselo uno spettatore irriverente a metà di Avengers: Age of Ultron, visto e considerato che i Vendicatori, pur nel mirino dell’intelligenza artificiale deviata di Ultron, sono pressoché indistruttibili, a differenza dei comuni mortali.

La carenza più sconsolante del sequel miliardario di Joss Whedon (chiaramente disinteressato al progetto, o non si spiegherebbe uno script tanto balbettante) non è nell’azione o nel digitale, per paradossale che ciò possa apparire. Quello che manca, ed è doloroso comprenderlo, è soprattutto ciò che chiamerei il “contesto”: sventare la minaccia di annientamento dell’intero genere umano, un genere umano relegato sullo sfondo a fare da anonima tappezzeria degli scontri tra supereroi, suona come uno stereotipo senza senso, un mero topos narrativo (che credibilità avrebbe un villain delle proporzioni di Ultron se il suo proposito non fosse il più letale possibile?), la ragione più dozzinale e devitalizzata per provare a giustificare tutto. Si potrebbe ribattere che nei film tratti dai comics è così almeno dai tempi di Flash Gordon – con il quale c’è una curiosa somiglianza, la città “volante” rischia la collisione fatale con la Terra come il pianeta Mongo – ma nel blockbuster della Marvel il discorso viene spinto al limite (altro che la saga dei Transformers!). L’umano diventa optional ed è elemento puramente decorativo. Inutile.

Certo, ci sono le ombre e i rovelli della squadra degli Avengers, con i quali la sceneggiatura tenta di riempire la vertiginosa mancanza di motivazioni della storia. Però è un fatto che prendere sul serio la liaison tra la Vedova Nera e Hulk è arduo per chiunque, mentre la ricerca di risposte di Thor è risolta in una scena poco felice. Rimarrebbe la vita privata e da padre di famiglia di Occhio di Falco: troppo poco, e troppo poco interessante. E dato che è sempre abbastanza insondabile il comportamento di Tony Stark/Iron Man, di fatto motore dell’intera vicenda di Ultron con il suo studio sull’intelligenza artificiale, l’unica è rivolgersi al lato oscuro: dai gemelli Quicksilver e Scarlet Witch, che avrebbero dalla loro una certa freschezza ma finiscono prigionieri dei semplicismi di sceneggiatura (oltre che poggiare sulle fragili spalle dei giovani Aaron Taylor-Johnson e Elizabeth Olsen) per finire con Ultron e l’androide Visione interpretato da Paul Bettany. Ma nemmeno con loro sembra andare meglio, le loro giustificazioni narrative sono più che altro confuse e mai del tutto plausibili, assai stiracchiate (come le spiegazioni sull’intelligenza artificiale) e in generale la sensazione è che nemmeno Whedon avesse le idee chiare in fase di scrittura.

A questo punto non rimangono che l’umorismo (molto sottotono) e l’azione, che sa di già visto ad ogni passo (anche se i fan più sfegatati non potranno che applaudire l’obbligatoria sequenza di distruzione urbana scatenata dall’inarrestabile Hulk) e finisce col fare pensare all’ipotesi peggiore: questo sequel si è fatto solo perché si poteva fare e perché fa parte della strategia globale (quella della celebri “fasi”) del Marvel Cinematic Universe, in attesa cioè di quell’Infinity War annunciato sui titoli di coda e previsto in due parti tra il 2018 e il 2019, che chiuderà l’epopea dei Vendicatori. E poi? Ma naturalmente si partirà con reboot e spin-off, in una spirale di cui non si vede la fine, ma che promette di saturare qualsiasi bisogno o desiderio di supereroi su grande schermo. È possibile quindi che qualcuna delle lacune e delle falle di Avengers: Age of Ultron venga colmata in seguito. Ma è altrettanto vero che per ora questo film sembra davvero insalvabile come prodotto a sé stante.

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Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.