La rincorsa della DC.
E’ inutile, la DC non ce la fa proprio.
Perché innegabilmente, nonostante gli sforzi, nonostante i risultati raggiunti, alla fine è sempre una rincorsa con la Marvel: conseguentemente, i risultati non possono che essere disuguali e discontinui.
Questo Black Adam, neanche poi questo disastro annunciato, sembra ricalcare l’ossatura degli Eternals di Cloe Zhao: prendi un regista, più o meno famoso ma con un curriculum da rispettare, approfondisci una mitologia intensa ma poco conosciuta dell’universo fumettistico di riferimento, metti al centro della narrazione un personaggio edgy. Il problema è che i film non sono un’equazione perfetta: e quindi alla fine questo Black Adam, pur essendo un action godibilissimo con personaggi azzeccati e un intreccio interessante, non ha una visione. Perché nonostante quanto si possa pensare, fare un cinecomics riuscito non è così facile, con i generi non si scherza.
Basta paragonare i film dell’MCU con le produzioni pre-Marvel Studios, o anche – restando a casa nostra – Tex Willer e il Signore Degli Abissi con l’attualissimo Dampyr: si sa che il passaggio tra carta stampata e celluloide non è facile, e a parte tutto ciò che rimane lost in translation quando la carta stampata è a fumetti il territorio è ancora più sdrucciolevole.
E se la Marvel di Kevin Feige ha trovato la chiave giusta (rileggere i generi aggiornandoli al nuovo secolo, in una continua escalation di innovazione drammaturgica), così come la novella Bonelli Entertainment e la Brandon Box sono partiti bene con Dampyr (facendo riferimento ad un immaginario perfettamente equilibrato tra il vintage e le nuove tecnologie, rispettando la natura macroscopica dell’epica bonelliana), il DC Extended Universe continua ad arrancare restando inevitabilmente sempre un passo dietro.
Black Adam è la conferma: film non brutto ma dalle basi fragili (arrivato in sala qualche ora dopo la notizia che ai vertici arriva James Gunn, il regista folle e geniale di Suicide Squad), che risente della mancanza di orizzonti in un via vai convulso mentre sembra alla ricerca di una formula che possa essere giusta per proseguire. Villain più o meno azzeccati, comprimari gustosi ma che scorrono sullo sfondo, interrogativi etici banalotti che però vengono posti con intelligenza rendendo il contorno del cinecomics più interessante. Il risultato è un mischione che si trangugia di traverso ma alla fine non lascia un gusto cattivo. Fermo restando che, Nolan docet, con i character DC Comics quello che funziona è l’approccio dark laddove invece stona la sbavatura umoristica: alla fine, la durata eccessiva (più di due ore) è il minore dei problemi, anche perché il ritmo non manca.
Ma pressoché tutto ciò che viene raccontato era stato già detto nei tre minuti del trailer, lasciando la parte – l’unica – più sorprendente nella scena post titoli di coda. Che, appunto, è una convenzione ideata dalla Marvel. Per il resto, Dwayne Johnson ha un’aderenza non solo fisica impressionante con il suo protagonista, Collet-Serra c’è e non c’è, e l’unica richiesta assillante che rimane dopo la fine del film è perché non dare un film da solo allo straordinario Doctor Fate di Pierce Brosnan. Quando si dice: mancanza di programmazione a lungo termine.
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