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Blonde foto4

Una sinfonia intrisa di nichilismo.

Inspiegabilmente, il bellissimo The Assassination of Jesse James by The Coward Robert Ford (presentato nel 2007 a Venezia dove ha fruttato una Coppa Volpi a Brad Pitt come attore protagonista) è stato frainteso e non capito come il film bergmaniano che è, un dramma da camera travestito da western dove il bandito al centro della trama diventa un angelo sterminatore che guarda da vicino a Buñuel o al demone dell’oltretomba da Settimo Sigillo.

Allo stesso modo, il Blonde tratto dal romanzo di Joyce Carol Oates non è un biopic, ma un incubo uterino e sotterraneo, un film maestoso e contraddittorio che afferma tutto e nega tutto, re-immaginando le azioni lasciando imperversare l’ambiguità, senza nessuna concessione allo psicologismo e proiettando nella sfera della contraddittorietà non solo il comportamento dei personaggi, coinvolgendo addirittura la funzione/fruizione dello spettatore.

Blonde parte dai quadri fotografici che hanno costruito, e tuttora lo fanno, l’icona Marilyn Monroe, situandosi in quella frattura oscura, vertiginosa, paurosa, abissale, che esiste tra le due donne (Norma Jean Baker e Marilyn): puntellando la sua struttura drammaturgica intorno agli scatti di George Barris, Sam Shaw, Murray Garrett – e tutti coloro che hanno contributo, con le fotografie, a rendere immortale l’attrice feticcio di Billy Wilder -, compie subito dopo e tra di loro uno sbalzo, un détour potentissimo e delirante, abusando e sfruttando la dimensione visiva per rovistare nell’intimo di un’icona e alla fine parlare di un cinema necrotico, l’unico oggi paradossalmente più vitale perché aderente alla sua decadenza postmoderna.

Dominik insomma destruttura Marilyn dimenticando Norma Jean, la eviscera su un tavolo autoptico anzi la vomita fuori non appena ne racconta l’infanzia, bruciando letteralmente tutto intorno a lei. Da lì in poi, ogni provino, ogni set, ogni frammento di vita si trasforma poco lucidamente in un incubo lynchiano ellittico che prende le forme di una seduta psicoanalitica: ma mentre l’opera assume sembianze pruriginose, le rinnega affermandosi come un film che racconta la lenta decomposizione dell’industria attraverso la cristallizzazione disumanizzante delle sue stesse icone.

Un processo che passa attraverso le teorie warholiane, facendo il paio con il magnifico Spencer di Pablo Larrain: due film fantasmatici che riprendono l’immagine della persona, vanno oltre il personaggio e raccontano una fiaba dell’orrore cucita intorno ad un corpo – e ad un mondo – morto.

Blonde opera dell’orrore: perché un film che ricostruisce l’essenza voyeuristica del cinema non poteva essere altro. Cinema come immagini che impongono una visione e un desiderio, coinvolgendo lo spettatore e rendendolo colpevole nel momento stesso in cui spettatore lo diventa. Su tutto, il labirinto di sensi di colpa, frustrazioni, abusi sessuali e psicologici della protagonista: che in una battuta centrale dice “Non sono una stella, sono solo una bionda”, ma bionda lo era solo per finzione. E seguendo la traccia dell’autodistruzione di Marilyn, quindi la consunzione di Norma Jean dentro il suo guscio, Blonde suona note altissime in una sinfonia struggente intrisa di nichilismo, soffusa da un alone sfocato, mentre i quadri più iconici raggelano tutto in un funereo rigor mortis.

Non è forse il cinema stesso una macchina suprema del desiderio? L’abbiamo in qualche modo uccisa noi stessi con il nostro sguardo?”: Blonde è un blackout, un rumore di fondo, un tremolio scomposto, un tumore: una sensazione che si stringe in fondo e intorno all’anima, e non va via.

voto_5

Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.