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BOILING POINT – IL DISASTRO È SERVITO

BOILING POINT – IL DISASTRO È SERVITO

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Un thriller culinario con uno stupefacente Stephen Graham.

In un venerdì prenatalizio Andy, capo chef di un elegante e rinomato ristorante di Londra, arriva trafelato e in ritardo sul luogo di lavoro, dove – oltre al suo staff – lo attende un ispettore sanitario che dopo i controlli di rito declassa il locale a causa di alcune criticità. La serata, partita col piede sbagliato, rischia seriamente di peggiorare per Andy e per il suo ristorante a causa delle tensioni interne che coinvolgono i membri dello staff di cucina e per l’arrivo a sorpresa del suo ex mentore, divenuto nel frattempo una star televisiva, accompagnato da una temibile e influente critica gastronomica.

Il secondo film diretto dall’inglese Philip Barantini, che prima di diventare regista ha lavorato anche come cuoco, è girato in un unico, lungo e vorticoso piano sequenza. A pensarci bene però il principale punto di forza di Boiling Point non risiede nell’elaborata e ricercata tecnica di ripresa o nella presentazione dei piatti serviti ai clienti nell’arco di una serata complicata, frenetica e convulsa, ma nel ritmo impresso all’azione. Un ritmo serrato e incalzante che non concede tregua allo spettatore, coinvolto e immerso fin dai primissimi minuti nelle complesse dinamiche di uno dei ristoranti più in voga di Londra. Barantini ha ripreso il suo omonimo cortometraggio del 2019, scritto come il film assieme a James Cummings e interpretato sempre da Stephen Graham, per ampliarlo e svilupparlo a dovere. L’operazione ha avuto un esito talmente felice e ispirato, suggellato da diversi premi e riconoscimenti a livello internazionale, da convincere il regista e sceneggiatore inglese a trarne una serie tv per la BBC, prevista per il 2023, dove ritroveremo buona parte del cast presente nel film. Restando alla serialità Boiling Point presenta diversi punti di contatto con The Bear, serie tv disponibile su Disney+ ambientata in una caotica e sgangherata paninoteca italo-americana di Chicago che ha per protagonista Carmine, giovane e talentuoso chef costretto ad abbandonare la sua brillante carriera nei ristoranti stellati per gestire il locale di famiglia dopo il suicidio del fratello maggiore. Le assonanze crescono a dismisura nel settimo e penultimo episodio della serie americana, girato in un unico, ansiogeno e claustrofobico piano sequenza all’interno della cucina del locale. È assai probabile che Christopher Storer, regista e ideatore  di The Bear, si sia ispirato al film di Barantini, presentato circa un anno prima dell’uscita della serie in svariati festival internazionali.

La riuscita di Boiling Point, distribuito nelle nostre sale dal 10 novembre grazie a Arthouse – il nuovo progetto editoriale di I Wonder Pictures dedicato al cinema di qualità – è dovuta a diversi fattori, tra i quali spiccano la sceneggiatura, particolarmente ispirata, incisiva e accurata nel tratteggiare i vari personaggi e le loro crisi umane e professionali e l’ottima recitazione del cast. A partire dal protagonista, il capo chef irrequieto e problematico interpretato da un superbo e strepitoso Stephen Graham, dal talento innato, ruvido e istintivo, uno dei migliori attori britannici della sua generazione. Non gli è da meno Vinette Robinson, attrice inglese vista in diverse serie tv tra cui l’acclamato Sherlock, nei panni della chef Carly, braccio destro di Andy e costantemente sul punto di esplodere a causa dei ritmi di lavoro massacranti e insostenibili e di una manager (ben interpretata da Alice Feetham) indaffarata a occuparsi più dei social media che della gestione del locale. A Barantini, bravissimo nel mettere in scena la vita all’interno di un ristorante di grido e a vincere la sfida di riuscire a farlo in un’unica ripresa, che deve aver richiesto un enorme sforzo da parte di tutta la troupe e del cast, interessa soffermarsi sull’elemento umano e poco o nulla di sfruttare il trend della ristorazione che da qualche anno sta avendo un successo spropositato soprattutto in tv e sui social (1). Sono proprio le vicende umane e professionali e i rapporti tesi e conflittuali tra i membri dello staff (2) a rendere unico e prezioso Boiling Point, opera corale dove la macchina da presa passa senza sosta da un personaggio all’altro, seguendo, o meglio dire pedinando, il personale e i clienti dentro il ristorante, tra i tavoli, in cucina, nei bagni, fuori dal locale e poi nuovamente al suo interno, in una corsa a perdifiato frenetica e continua. Un film teso e avvincente come un thriller, capace di tenere il pubblico in apnea dall’inizio alla fine, ovvero per novantadue, velocissimi e incalzanti minuti.

(1) Un fenomeno che non manca di criticare aspramente nell’efficace descrizione dell’ex mentore di Andy, riciclatosi in chef star in tv, e dei tre giovani e insulsi influencer che pretendono un trattamento di favore e finiscono per essere accontentati dalla manager in nome di un’agognata visibilità sui social del suo locale.

(2) Nel film oltre ai rapporti interpersonali tra i membri dello staff sono ben descritti anche quelli tra il personale e la clientela, talvolta gentile e accomodante, talvolta cafona e razzista come il padre di famiglia che si rivolge in malo modo alla cameriera afroamericana, talvolta arrogante e ignorante come nel caso dei giovani influencer.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.