L’amore cannibale di Luca Guadagnino.
È ormai palese e risaputo che la carriera artistica e professionale di Luca Guadagnino abbia avuto una decisa accelerata cinque anni fa grazie al successo riscosso a livello internazionale dal suo Call me by your name. Il film, tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman sceneggiato da James Ivory, per la prima volta ha messo d’accordo tutti (o quasi) sulla bravura e sul talento del regista palermitano che in precedenza aveva goduto raramente, specie in Italia dove il precedente A Bigger Splash era stato accolto malamente a Venezia, del plauso della critica. Dopo la controversa e polemica accoglienza di Suspiria, il suo libero e incondizionato atto d’amore nei confronti del capolavoro di Dario Argento che tanto fece discutere gli addetti ai lavori sempre a Venezia nel 2018, Guadagnino è tornato nelle grazie della critica italiana un paio d’anni dopo con We are who we are, la sua prima incursione nella serialità televisiva dove si è divertito a sperimentare e a elaborare una narrazione ibrida e fluida, libera e senza vincoli.
Con Bones and All, il suo nuovo lungometraggio in sala da mercoledì 22 novembre, il regista siciliano ha ottenuto la sospirata e meritata consacrazione festivaliera proprio in quel di Venezia, dove ha vinto il Leone d’Argento per la miglior regia.
Nel raccontare il peregrinare senza sosta dei giovani antropofagi Maren e Lee nell’America rurale e crepuscolare degli anni ‘80 di Ronald Reagan, Guadagnino sembra guardare in parte a Fraser e Caitlin, i due spaesati e incompresi protagonisti del suo We are who we are ma al contempo volge lo sguardo verso Kit e Holly, la giovane coppia sbandata e assassina al centro di La rabbia giovane di Terrence Malick. Per restare su territori e atmosfere horror si potrebbe citare il crudo e seminale Il buio si avvicina di Kathryn Bigelow, incentrato su una banda di vampiri nomadi e reietti, ai margini della società come i cannibali di Guadagnino.
In Bones and All, ispirato all’omonimo romanzo di Camille DeAngelis e sceneggiato da David Kajganich che per Guadagnino aveva già firmato i copioni di A Bigger Splash e Suspiria, il cineasta italiano ritrova Timothée Chalamet, divenuto ormai una star planetaria cinque anni dopo la prima collaborazione tra i due. Al suo fianco la folgorante e sorprendente Taylor Russell, attrice canadese insignita del Premio Marcello Mastroianni a Venezia 79. Tra Maren e Lee nasce un’intesa istintiva e immediata, un legame forte e indefinito, un’attrazione fisica e mentale che li avvicina l’uno all’altra in un percorso a ostacoli alla scoperta di se stessi e delle proprie radici. L’intesa e l’alchimia tra i due giovani interpreti rappresenta uno dei punti di forza del film, insieme alla regia di Guadagnino e allo score musicale di grande impatto e atmosfera firmato da Trent Reznor e Atticus Ross. Bones and All non appartiene propriamente al genere horror, se ne serve per mettere in scena un drammatico e sentimentale coming of age, un road movie esistenziale abitato dai volti sofferti e dai corpi famelici di Maren e Lee, alla ricerca di un loro posto nel mondo e di un’impossibile serenità. Guadagnino, con la sua regia precisa, empatica e raffinata, segue il loro girovagare per le strade soleggiate e desolate di un Paese alla deriva come le anime perse che lo abitano. Non mancano le scene cruente nelle quali il sangue scorre copioso, contraddistinte da una tensione impressionante (si pensi al finale) dovuta anche alla magnetica e mostruosa performance di Mark Rylance, attore di gran classe in un cast di lusso che oltre ai già citati Chalamet e Russell vede coinvolti Michael Stuhlbarg, Chloë Sevigny e Jessica Harper che avevano già lavorato in precedenza con Guadagnino.
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