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CAROL

CAROL

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Il prezzo dell’amore.

Carol è una donna pratica. Sa come va il mondo, se non altro il suo. E sa bene quanto cedere all’istinto, che ben conosce, le possa risultare pericoloso o addirittura fatale. In questo senso è alquanto diversa dalla Cathy di Lontano dal paradiso, molto più inconsapevole e per così dire predisposta alla parte della vittima. Carol è invece una combattente.

Nell’adattamento del romanzo omonimo di Patricia Highsmith, Todd Haynes sembra ancora una volta attratto da una doppia e titanica sfida: quella dei suoi personaggi che lottano contro convenzioni che li schiacciano a ruoli e destini prefissati e quella, più complessa, di raccontare un conflitto dirompente senza cedere all’esplosione melodrammatica, cristallizzando cioè passioni, paure e cedimenti individuali nel maggior rigore di una forma che, lungi dall’essere solo il prodotto dello stile registico dell’autore, rappresenta l’equivalente filmico della società chiusa e conformista del secondo dopoguerra. Detto in altri termini, il lavoro di Haynes è il portato della tensione tra una messa in scena (alla quale contribuisce in modo decisivo la fotografia di Ed Lachman) che non accetta e non sopporta incrinature e l’imperfezione (meglio: l’imprecisione) di personaggi sopraffatti dai loro sentimenti e desideri. Carol si può considerare in questa accezione come il film-prigione perfetto, nel quale l’inquadratura è sempre studiata in funzione di un effetto a-patico, contrario al pathos, che ne spezzerebbe irrimediabilmente la dialettica interna. Carol Aird, che è una donna pienamente dentro il suo tempo, si muove come trattenuta da lacci invisibili, dei quali è però acutamente conscia. Prendiamo la sequenza con gli avvocati, una delle rare scene oltre le righe del film: Carol, che sa di essere perdente in partenza dentro una temperie sordamente maschilista, fa appello non tanto al suo diritto individuale di madre quanto al timore del marito di venire trascinato in una causa che scuoterebbe per lo scandalo il mondo di lui (la minaccia, velenosa, arriva alla fine del monologo della donna). In tal modo Carol ritorce contro il consorte la rete in cui entrambi in realtà si trovano impigliati. Sia pure ad altissimo prezzo, mantenere e rafforzare la medesima convenzionalità di schemi e di rapporti.

C’è però un’altra cosa da sottolineare in Carol, puntualmente declinata da Haynes nelle interviste a proposito del film, ed è l’atteggiamento di Therese, presentata come ancora molto giovane e acerba, anche per l’evidente differenza di classe, nei confronti della più matura Carol. Facciamoci caso: Carol agisce come se sapesse sempre esattamente quello che fa, non escluso quando le due donne partono assieme senza un’apparente meta (uso il termine soprattutto in senso figurato). Therese invece pare non del tutto cosciente, e non basta lo scontro con il fidanzato Richard che la rampogna per la sua “cotta” (“You’ve got a crush on this woman”) a chiarire il suo comportamento. Ma quando ritorna una seconda volta la scena al Ritz, a quel punto una differenza si fa palese. Therese non è più la stessa, all’occhio dello spettatore ha ora sperimentato e pagato il suo prezzo all’amore. L’incanto è svanito, la conoscenza diventa prigione anche per lei.

Nulla di nuovo, si dirà, ancora una volta Haynes racconta il passato come se fosse il presente. Eppure affiora un pessimismo così plumbeo e scarnificato, in questo film perfetto come una condanna, che Carol mi pare davvero qualcosa di più di una magistrale variazione sul tema.

voto_4

Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.