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CRIMSON PEAK

CRIMSON PEAK

Crimson Peak foto 5

Amore, morte e fantasmi.

C’è una magione, fatiscente e affascinante, ci sono omicidi, ci sono anime disperate e tormentate, vivi e morti, ci sono colori caldi e suadenti con il bianco e il cremisi a darsi battaglia, c’è perfino amore in Crimson Peak: un luogo e un’opera che è la somma delle sue parti, ma anche molto di più. Che lo si etichetti come divertissement, melodramma o semplice film di genere, Crimson Peak è un film che funziona perché stratificato, e che fa del gusto del racconto letterario e cinematografico d’altri tempi la sua ragion d’essere.

Partendo da un immaginario collaudato, quello gotico, dal quale pescare a piene mani, dai racconti di Ann Radcliffe fino a Hitchcock, il regista Guillermo Del Toro racconta la storia di Edith (Mia Wasikowska, non tanto una Jane Austen quanto una Mary Shelley, come lei sorta di bambina prodigio innamorata di uno “stronzo” affascinante: e che porta lo stesso nome della newyorkese Wharton), conquistata da Thomas Sharp (Tom Hiddleston), visionario aspirante imprenditore britannico accompagnato dalla servizievole sorella Lucille (Jessica Chastain), tanto languida quanto letale.

Non si lavora certo di sottrazione in Crimson Peak, anzi. Del Toro, servendosi anche di dissolvenze in nero e di una colonna sonora briosa e coinvolgente, fa in modo che lo spettatore abbia tutto sotto controllo, mette la giusta dose di ridondanza, perché i fantasmi non sono altro che “la metafora del passato”, e non telefona le svolte dell’intreccio (per buona parte del film si crede che i due fratelli siano in realtà marito e moglie, almeno fino al gustoso coup de theatre incestuoso nel finale) lasciando cadere i riferimenti politici delle sue affini opere precedenti. Edith, sposa virginale, non è più una bambina come l’Ofelia de Il labirinto del fauno, la quale preferiva le mostruosità della sua immaginazione a quelle ben più reali del franchismo postbellico. Semmai si rivela donna non comune per ambizione, mai sazia di sentimenti, quelli che caratterizzano ogni buon romanzo degno di questo nome.

Il gusto del raccontare portando alla luce le sensazioni, i differenti stili di vita e i legami con la propria terra e il proprio passato pervadono tutto il film, nel quale si scorge anche un interessante opposizione tra vecchio e nuovo mondo. Il personaggio di Hiddleston è quasi un Henry James al contrario: un dandy europeo che compie il viaggio opposto rispetto allo scrittore americano, attraversando l’Oceano Atlantico da est a ovest alla ricerca di fondi. L’Inghilterra è un luogo affascinante, che però mostra segni di decadenza ed è convinta ancora che la sua elegante opulenza da vecchio mondo possa salvarla dal nuovo che avanza, là dove le visioni dei sognatori diventano opportunità solo se coniugate alla dura realtà e al duro lavoro.

Questa cornice lievemente ingessata viene demolita da Del Toro quando spinge il pedale sull’acceleratore delle passioni viscerali, buchi neri in grado di risucchiare anche i sentimenti più limpidi, annegandoli in un pozzo sanguinolento. Il gore non ci viene risparmiato, sia negli omicidi sia nella caratterizzazione degli spettri, vividi corpi in decomposizione abbigliati di sangue cremisi rappreso. Superato il primo disgusto però, ci si rende conto che sono apparizioni benigne (ce n’è perfino uno che esce da una vasca da bagno in stile Shining), vittime tormentate schiave di un passato nel quale l’amore le ha tradite.

Perché è sempre con l’amore che dobbiamo fare i conti, anche quando esso conduce alla follia e alla morte. Lo sa bene il personaggio della Chastain (splendida nella sua chioma corvina, come tutta la sua prova), una Lady Macbeth autoritaria e guerriera che prende letteralmente per mano il film, trascinandolo e strattonandolo qua e là, sempre più nelle profondità di un vortice delirante di passione. Non si può non rimanere abbagliati dalla sua Lucille che abbandona le pose composte – le stesse che l’attrice ha in molti film – trasformandosi in una tigre urlante e disposta a martoriare il suo corpo per riappropriarsi di ciò che le spetta e che Edith le ha sottratto. Lo scontro finale tra le due, nella miniera d’argilla imbiancata dalla neve, tanto pleonastico (con il bianco e il rosso simboli di verginità e passione) quanto suggestivo e visivamente virtuoso, chiude degnamente il film.

Forse Del Toro ingolfa un po’ la macchina inserendo troppi personaggi, come l’oftalmologo investigatore (ricalcato sulla figura di Conan Doyle) venuto a sbrogliare la situazione, e affidando alla voce off di Edith l’epilogo ridondante sull’eredità tragica di chi rimane prigioniero dei sentimenti di un luogo, ma ciò non ne intacca affatto la solidità di fondo. Crimson Peak coinvolge e diverte perché riesce a parlare a molti, sia allo spettatore medio che a quello più colto in grado di cogliere i riferimenti, non presentando una semplice collezione di figurine citazioniste ma servendosi di queste per raccontare una buona storia con elementi, letterari e visivi, che raramente stancano se ben dosati: Amore, morte e fantasmi. Non chiediamo di più.

voto_4

Matteo Catalani
Il cinema l’ha sempre accompagnato (ricorda ancora i pomeriggi passati davanti ai DVD dello zio in compagnia di Terrence Malick e Michael Mann, per poi scoprire come tenere la penna in mano grazie a Glengarry Glen Ross e ai film di Wilder) dirottandolo verso un’(in)felice carriera umanistica a discapito di un futuro scientifico già per lui preconfezionato. Ama lo storytelling in tutte le sue forme, che cerca di far sue con abnorme fatica. In attesa di svegliarsi un giorno avendo già nel cassetto un esordio alla Zadie Smith, o di venir selezionato come point guard titolare dai Portland Trail Blazers, trascorre i suoi indolenti pomeriggi guardando film e tentando di mettere ordine nei suoi pensieri (e nella sua vita). Con “Il Bel Cinema” è alla sua prima esperienza in un sito specializzato.