Le donne di Maria Sole Tognazzi.
Pochi registi mostrano una coerenza assoluta ai loro temi, a volte anche disconoscendo le ossessioni che legano tutti i film diretti: nel caso di Maria Sole Tognazzi invece siamo all’opposto, ovvero un’autrice cristallina e precisa che con una manciata di film (cinque, in vent’anni) ha assunto una propria fisionomia, creando un universo ben riconoscibile.
Dieci Minuti arriva a quasi dieci anni di distanza dal precedente Io e Lei (del 2015), in mezzo la felice parentesi di Petra: e conferma uno sguardo curioso di approfondire lo studio dei caratteri attraverso la lente della commedia di costume, senza però allargare mai il campo né l’obiettivo su un contesto sociale. Le donne raccontate dalla Tognazzi possono vivere in qualsiasi contesto, e le loro dinamiche risuonerebbero sempre le stesse.
Quello che succede sempre più spesso, nell’audiovisivo degli anni Dieci e Venti, è che alcuni autori riescono, con il passaggio alla regia seriale televisiva, a tenere meglio il passo, a riunire con più ordine i loro pensieri per disporli in modo ordinato: ugualmente i dieci episodi delle stagioni di Petra avevano mostrato uno sguardo ancora più lucido perché ripulito, sgrassato da un’ironia (ritrovata e) sferzante, che anche grazie alla perfetta mimesi di Paola Cortellesi aveva restituito un personaggio femminile ancora più realistico – ma attenzione, non tridimensionale, perché l’occhio della Tognazzi trasforma e deforma per arrivare al suo obiettivo.
Dieci Minuti però mostra ancora i difetti che avevano alcune delle opere precedenti: una certa eccessiva pianezza nel distendere la trama, perché se (giustamente) si vuole raccontare la vita in modo edulcorato ma con il disincanto che mescola indissolubilmente rabbia e poesia quotidiana, il rischio è sempre quello di perdere il tempo, affidandosi troppo al proprio cast e non trovando un equilibrio narrativo. Complice probabilmente la scrittura troppo emotivamente pesante di Francesca Archibugi (co-sceneggiatrice del film, ruolo che infatti nei film precedenti era di Francesca Marciano e Ivan Cotroneo, ben più esperti nel trovare un ritmo per ogni personaggio), è allora un peccato che Dieci Minuti scorra fin troppo lieve e senza scossoni, perché è evidente il coraggio e l’intelligenza di aver scritto una storia che segue diverse prospettive come tante linee che alla fine convergono in un nodo narrativo ben costruito.
Bene anche lo sguardo di sbieco sull’aggettivazione di genere: là dove in passato la regista aveva calcato la mano, in tempi di isterismi e fanatismi il film evita l’alzata di scudi contro ogni categoria e conseguentemente la litania di cliché e stereotipi a cui ha abituato un cinema fin troppo preoccupato di sembrare #MeToo, seguendo invece un percorso narrativo ragionato e variegato e puntellato da torti e ragioni equamente distribuiti tra i personaggi.
Inutile dire ancora quanto sia brava Barbara Ronchi (Fotinì Peluso invece rischia di imprigionarsi lei stessa nella routine della giovane folle e reazionaria): ma non è mai scontato applaudire quando un autore indovina la chimica tra i suoi interpreti, e allora speriamo di rivedere ancora insieme lei e Margherita Buy.
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