Ritorno all’Overlook Hotel.
Con Doctor Sleep, il seguito ufficiale di Shining pubblicato nel 2013, Mike Flanagan si trova nuovamente alle prese con l’adattamento di un romanzo di Stephen King dopo la notevole trasposizione de Il gioco di Gerald, uscito direttamente su Netflix un paio d’anni fa. Qui la posta in gioco si fa decisamente più alta perché Flanagan, nuovo guru dell’horror made in U.S.A., non si trova per le mani il solito, l’ennesimo, adattamento dell’infinito corpus letterario di Stephen King ma deve fare i conti col genio di Stanley Kubrick, che partiva sì dal romanzo del 1977 del re dell’orrore ma finiva per tradirlo completamente, rivoltandolo come un calzino, per dar vita a uno dei suoi capolavori più amati e conosciuti a livello internazionale.
Flanagan dimostra da subito ambizione e coraggio, ci immerge e fa ripiombare nelle inquietanti e malate atmosfere dell’Overlook Hotel, ne evoca le musiche (il Dies Irae) per poi prenderne le distanze e seguire nuove traiettorie, nuovi percorsi, con una storia completamente diversa per temi e ambientazione da quella di Shining, col personaggio di Dan Torrance adulto come unico collante tra le due opere.
Dapprima il nuovo fulcro narrativo su cui poggia Doctor Sleep rischia di sortire un effetto straniante e spiazzante nel pubblico ma Flanagan, da efficace e navigato storyteller qual è, si dimostra abile nel gestire la materia narrativa riuscendo a farci appassionare alla storia, facendoci quasi scordare per lunghi tratti di trovarci al cospetto del seguito di Shining. La nuova linea narrativa affascina e avvince nel suo lento e sapiente progredire, tratteggia in modo incisivo la setta del Vero Nodo guidata dalla malvagia Rose, formata da esseri – sorta di vampiri dell’anima umana – costretti per sopravvivere a cibarsi della luccicanza, da ricercare e estrarre dalle giovani vittime che ne sono dotate. La luccicanza, lo shining, diviene qui il vapore che fuoriesce dal corpo di chi lo possiede poco prima di morire. Rose e i suoi adepti, sempre a caccia di nuovo vapore, sempre più raro da scovare forse per colpa dell’inquinamento, dei cellulari o di Netflix (velenosa frecciatina della Warner Bros. resa ancora più simpatica e gustosa se si pensa che Flanagan ha già diretto diversi film e una serie tv per il colosso dello streaming), si imbattono in Abra, una ragazzina dotata di una fortissima luccicanza che da qualche tempo è entrata in contatto telepatico con Dan. Quest’ultimo sarà costretto a correre in aiuto della sua giovane amica e a fare nuovamente i conti con i fantasmi dell’Overlook Hotel che lo hanno perseguitato per anni fino a spingerlo nella spirale dell’alcolismo per dimenticarsi l’orrore vissuto in tenera età.
Dopo aver rapito e catturato l’attenzione del pubblico per due ore filate, per l’epilogo Flanagan chiude il cerchio e ci conduce nuovamente in alta quota (con riprese e musiche che richiamano esplicitamente la celebre e sublime overture di Shining) per le strade irte e innevate che portano all’Overlook Hotel. O meglio a quel che ne resta, un enorme edificio oscuro e spettrale affetto ancora da un male e da un cancro sovrannaturale, popolato da entità malvagie pronte a tormentare e cibarsi delle paure di chi osa introdursi al suo interno. È in quest’ultima mezz’ora che Flanagan, che come sempre oltre a dirigere si occupa in prima persona della sceneggiatura e del montaggio, si gioca il tutto per tutto, in un profluvio di citazioni e di sinceri e sentiti omaggi al capolavoro di Stanley Kubrick in cui dimostra tutta la sua intelligenza nell’evitare di provare a mettersi allo stesso livello, restando sempre un passo indietro, alla giusta e doverosa distanza. Un omaggio accurato e rispettoso, come dimostra la perfetta e minuziosa ricostruzione dell’Overlook Hotel reso ancora più sinistro dallo stato di abbandono in cui versa, dove va in scena lo scontro finale che contrappone Dan e la giovane Abra alla malefica Rose.
Gli omaggi a Shining non si esauriscono nel lungo epilogo che da solo riesce in parte a restituirci le emozioni e i brividi provati durante la visione del film di Kubrick, ma sono disseminati anche altrove, come l’inaspettata riproduzione dell’ufficio dell’Overlook Hotel in cui Jack (Nicholson) Torrance sosteneva il colloquio di lavoro come custode dell’albergo nella scena in cui al Dan adulto viene proposto un impiego come inserviente in una casa di cura per anziani o la notevole sequenza in cui viene citata la famosa e iconica scritta redrum – murder.
La rischiosa e insidiosa operazione di Flanagan, per certi aspetti simile a analoga a quella operata nel 2017 da Denis Villeneuve per il temuto sequel di Blade Runner da cui altri avrebbero potuto uscirne malconci e con le ossa rotte, può dirsi superata con successo e intelligenza, specie se si considera che l’autore americano riesce non solo a omaggiare Kubrick, ma dimostra rispetto anche nei confronti del romanzo di Stephen King da cui riprende sul finale una parte fondamentale omessa completamente in Shining.
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