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La scelta di André, la leggerezza di Ozon.

François Ozon, nato a Parigi nel 1967, è sempre stato un autore dinamico e prolifico. Ultimamente non si fa in tempo a vedere un suo film che ne ha già girato uno nuovo. Presentato in concorso all’ultima edizione del Festival di Cannes È andato tutto bene arriva nelle nostre sale poche settimane prima che il suo nuovo lavoro, Petra Von Kant, inauguri la 72a Berlinale.

André ha quasi 85 anni quando viene colpito da un ictus. Dopo avere ripreso coscienza decide di non continuare a vivere in condizioni menomate che non gli consentono di essere autosufficiente. Chiede così a Emmanuèle, una delle sue figlie, di aiutarlo a morire.

Ozon tratta con grazia e leggerezza un tema scottante e delicato come l’eutanasia, considerato ancora un tabù nella stragrande maggioranza dei cosiddetti paesi civili e democratici. È andato tutto bene è un film privo di scene madri e mai ricattatorio che affronta con grande spontaneità e naturalezza un argomento ritenuto scomodo e scabroso dalla società contemporanea. Tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Emmanuèle Bernheim, scomparsa nel 2017, adattato per lo schermo dallo stesso regista (amico della scrittrice con cui in passato ha collaborato più volte) assieme a Philippe Piazzo, il film di Ozon ha un andamento piano e naturale, col preciso intento di non alzare mai i toni per non appesantire e sovraccaricare di pathos e drammaticità una storia che lo è già di suo e non necessita di ulteriore enfasi. Il cineasta parigino opera semmai in senso opposto, riuscendo a conferire brio e umorismo a una vicenda dolorosa, incentrata su un uomo che decide con fermezza e lucidità di dire basta e di porre fine alla sua esistenza dopo una vita piena e appagante. Il dramma coinvolge anche e soprattutto la sua famiglia, in particolare le due figlie, che lo amano nonostante non sia stato esattamente un buon padre, e che sono chiamate a aiutarlo in un compito non facile a causa delle difficoltà burocratiche e dei rischi penali cui vanno incontro, in un paese in cui il suicidio assistito è tuttora illegale. Ozon assembla un cast in stato di grazia, a partire da André Dussollier, bravissimo nell’interpretare un uomo colpito da un ictus rendendo autentico e vitale il suo personaggio a cui si devono i momenti di maggior “comicità”. Ottima Sophie Marceau che nel ruolo della figlia Emmanuèle regala una delle prove più mature e convincenti della sua già lunga carriera. La scena più intensa e commovente la dobbiamo invece a un’attrice formidabile come Charlotte Rampling, che sta in scena non più di cinque minuti nell’arco di tutto il film, durante un breve dialogo con la figlia Emmanuèle che le chiede come mai sia rimasta col padre per tutti quegli anni nonostante l’abbia fatta soffrire così tanto. La sua risposta – perché l’amavo, stupida – pronunciata in modo laconico con uno sguardo carico di dolore toglie il fiato e s’imprime già come uno dei momenti più forti e toccanti di questa nuova annata cinematografica.

Coincidenza ha voluto che È andato tutto bene, un film pieno di vita incentrato sull’accettazione della morte, venisse presentato a Cannes un paio di mesi prima del passaggio a Venezia di La scelta di Anne, tratto sempre da un romanzo autobiografico e vincitore del Leone d’Oro. In entrambi si parla di tematiche difficili e controverse, l’eutanasia e l’interruzione di gravidanza, la prima tuttora illegale in Francia e nella maggior parte dei paesi democratici compreso il nostro, la seconda illegale negli anni in cui è ambientato il film, il 1964. L’augurio è che l’eutanasia e il suicidio assistito possano essere legalizzati come accaduto con l’aborto, superando quei paletti e quelle resistenze dovute principalmente ai retaggi di una religione che ostacola e pone veti alle scelte personali.

Ozon rifiuta il film a tesi, non è interessato a schierarsi e a giudicare, non sottolinea più di tanto l’ipocrisia e l’ottusità di cui sono intrise la nostra società e la nostra classe politica che si ostinano a ignorare e a non prendere in considerazione una questione importante che di fatto rimane sepolta e arenata in un limbo, segno inequivocabile di mancanza di maturità e di civiltà che lasciano sbigottiti e attoniti. Il regista francese racconta con semplicità, malinconia e tenerezza una storia di legami familiari abitata da un padre egoista e ingombrante, da una madre depressa e assente, da un amante definito come il pezzo di merda dalle due figlie di André, unite da una sorellanza che permette loro di affrontare e superare una dipartita dolorosa, riuscendo ad accettarla in modo sereno perché alla fine, in fondo, è andato tutto bene.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.