Bruciare per seminare ancora.
Presentato in Concorso all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia Ema è l’ottavo lungometraggio diretto da Pablo Larraín, nato a Santiago nel 1976 e impostosi alla ribalta internazionale con la trilogia sulla feroce e sanguinaria dittatura cilena di Pinochet. Dopo aver fatto i conti col passato doloroso, tuttora irrisolto e non pacificato del suo Paese, Larraín per la prima volta volge il suo sguardo al presente e pone la sua lente d’ingrandimento su un’altra straordinaria figura femminile, dopo quella del suo penultimo film – il primo girato in lingua inglese in trasferta americana – incentrato su Jacqueline Kennedy.
Ema è una giovane ballerina che vive e lavora nella città portuale di Valparaíso. Il suo matrimonio con Gastón, il direttore e coreografo della compagnia di ballo, sembra essere agli sgoccioli in seguito a un evento traumatico che ha portato la coppia a restituire ai servizi sociali il bambino che avevano adottato da circa un anno. I due si rinfacciano la colpa di questa sofferta decisione, si rimpallano a vicenda la responsabilità in un logorio continuo e perpetuo. Ema decide di allontanarsi da Gastón (ben interpretato da Gael García Bernal al suo terzo film con Larraín dopo No – I giorni dell’arcobaleno e Neruda) e dalla compagnia per intraprendere assieme ad altre ballerine in fuga dallo stesso corpo di ballo un percorso artistico libero e autonomo, più ancorato al presente del suo Paese e svincolato dalle tradizioni. Ema e le sue compagne ballano per strada in modo diretto, sensuale, sfrontato e provocatorio, si cimentano nel reggaeton allontanandosi il più possibile dal folclore e dalle tradizioni musicali e artistiche cilene. Ema sembra avere un piano preciso per rimettere in piedi una sua famiglia atipica e allargata, al di fuori delle regole e delle convenzioni sociali. Ema è una forza della natura, una ragazza incendiaria, pronta a bruciare per seminare ancora, pronta a sfidare le regole e le leggi precostituite in nome di una libertà sessuale che ai suoi occhi appare coerente e naturale, in nome del diritto all’amore e alla felicità. Ema è un fiume in piena, pronto a travolgere tutto e tutti, in grado di entrare e sconvolgere le vite altrui. La giovane attrice che la interpreta, Mariana di Girolamo, è di una bravura sconcertante, possiede una sensualità non comune, ferina e animalesca, un sorriso strafottente e uno sguardo magnetico capaci di bucare lo schermo.
Ottimamente musicato e coreografato da Nicolas Jaar e Jose Luís Vidal, Ema ha una messa in scena sapiente e ricercata, oltre all’incisiva e suggestiva fotografia affidata al sodale e fidato Sergio Armstrong, che ad eccezione di Fuga e Jackie ha sempre curato l’illuminazione dei film del regista cileno. Ema è un’opera libera e coraggiosa, capace di spiazzare e destabilizzare anche i profondi conoscitori ed estimatori del cinema di Pablo Larraín, autore vitale e irrequieto, sempre pronto e voglioso d’intraprendere nuove strade e affrontare nuove sfide cinematografiche, come dimostrano Neruda e Jackie, i suoi biopic atipici e non convenzionali, refrattari ai cliché e alle convenzioni di un genere sempre a rischio d’incorrere in una stucchevole e deleteria agiografia. In questo suo ultimo lavoro, forte e intenso, anarchico e vibrante, Larraín sembra quasi voler azzerare quanto fatto in precedenza per reinventarsi e seguire nuove traiettorie, come sembra confermare anche il suo prossimo progetto, Lisey’s Story, nientemeno che una serie tv tratta da un romanzo di Stephen King!
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