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FRANCOFONIA – IL LOUVRE SOTTO OCCUPAZIONE

FRANCOFONIA – IL LOUVRE SOTTO OCCUPAZIONE

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Il segreto degli uomini tra la Storia e l’Arte.

Cosa significa l’arte lungo lo scorrere dei secoli e per la cultura occidentale? Francofonia cerca innanzitutto di porre la domanda in una prospettiva che ribalta l’assunto di Arca Russa. Non più quindi la rappresentazione dell’arte che si risolve (e infine si dissolve) nella storia, ossia con la sublimazione di tante epoche, costumi, regimi, personaggi in un unico e inevitabile destino – motivazione principe dello stupefacente virtuosismo tecnico del film del 2002 – ma l’ipotesi a raggio più limitato che dietro i grandi avvenimenti, le imprese fittizie e le tragedie innescate dai grandi, la storia si riduca a mesti tentativi di tenere a galla i propri piccoli mondi. A volte però imprimendo agli eventi una forza inaspettata rispetto alle azioni compiute.

Jacques Jaujard e Franz-Wolff Metternich. Sono questi due i veri attori sul proscenio, strappati da Sokurov alle quinte e messi a paragone con le frivole pantomime di Napoleone e le roche e fiacche pretese di libertà, eguaglianza e fratellanza di una Marianne ridotta a ciondolare come l’inascoltata vestale di una tradizione sempre più anonima. Non sono dei giganti i due burocrati, e non cercano di esserlo. Jaujard si dichiara “molto francese” e i francesi in Francofonia non ci fanno proprio una bella figura. Il loro maggiore esponente è non a caso Pétain, il maresciallo che guidò il governo collaborazionista di Vichy: ma con inciso fulmineo a un certo punto si allude anche alla fascinazione subita dai giovani francesi per la lingua dei tedeschi invasori. Jaujard non è poi così diverso da costoro. Deferente e calcolatore, passa quietamente dal servizio dello stato a quello dell’occupante straniero. Ma il suo interlocutore nazista non ha il piglio del conquistatore assetato di potere. Metternich è a suo modo un idealista, un sincero amante dell’arte, si lascia irretire, non adempie sempre prontamente agli ordini, chiedendo il rispetto delle procedure stabilite. Due uomini che tengono un profilo intermedio, né alto né basso, come se fingessero di non capire, forse al semplice fine di salvare il loro mediocre quotidiano dallo spezzarsi. E le opere d’arte del Louvre, per effetto della reciproca inazione, si salvano infine dalle grinfie di Hitler. L’ignavia in questo caso ha potuto più delle armi e dell’ideologia.

L’originalità della riflessione di Francofonia sta nel postulare l’influenza decisiva dell’ordinario e del comune nel destino del mondo. L’arte non si salva tanto a prezzo di eroismi, quanto di azioni spesso minime, spurie, opache, ambigue, con motivazioni che non sono nobili, ma in realtà neppure spregevoli per forza. Le inutili guerre del Bonaparte per ammassare capolavori nei musei statali valgono come la resistenza del comandante di un cargo che mette a repentaglio la vita dei suoi uomini pur di salvare le opere d’arte che la nave trasporta. Le prosopopee spesso mistificano, non giustificano. Gli abitanti di Leningrado resistettero con la forza della disperazione all’assedio nazista e l’Ermitage era ormai solo un’infermeria, non un museo con quanto di meglio prodotto dalla civiltà a cui appartenevano. E figure come quelle di Tolstoj e Cechov, guide morali, non c’erano più.

È per questo forse che alla fine, nella sequenza più bella e rivelatrice di un film che non si preoccupa di essere “bello” o “giusto”, Sokurov immagina di raccontare a Jaujard e a Metternich i rispettivi destini, con fare cerimonioso e colloquiale al medesimo tempo. I due ascoltano quasi impassibili, lievemente meravigliati e scettici, come se non si trattasse delle loro future esistenze, sempre fedeli ai loro personaggi e ai loro caratteri. Il tono della scena potrebbe facilmente inclinare all’elegiaco e risultare in un’apologia, ma preferiamo credere che nei loro volti scialbi ci sia invece un barlume di quel segreto dell’umano e del tempo che l’arte ritrattistica ha cercato instancabilmente per secoli e che è compito del cinema continuare a indagare con tutti i mezzi possibili, senza paura di sperimentare. Il tutto mentre la Storia sembra che si faccia altrove.

voto_5

Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.