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Scorsese e la meraviglia 3D.

Nel 2011, quasi settantenne, Martin Scorsese gira il suo primo film in 3D ispirato al bel libro illustrato di Brian Selznick intitolato La Straordinaria Invenzione di Hugo Cabret. Il cineasta italo americano si cimenta dunque con la nuova tecnologia (di gran moda ai tempi  dopo l’enorme successo di Avatar uscito un paio d’anni prima) rivolgendosi per la prima volta nella sua lunga e acclamata carriera anche al pubblico dei giovanissimi. Hugo Cabret, vincitore nel 2012 di 5 premi Oscar, compreso quello per la miglior scenografia a cura dei nostri Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, è un sentito omaggio al cinema delle origini ed in particolare a Georges Méliès, padre e inventore del genere fantastico.

Parigi, anni Trenta. Nella stazione ferroviaria di Montparnasse vive e si nasconde Hugo, un ragazzino rimasto orfano dopo la morte del padre che gli ha lasciato da riparare un curioso automa, sprovvisto però della chiave a forma di cuore di cui ha bisogno per poter funzionare e “riprendere vita”. Deciso a trovarla per svelare il mistero che si cela dietro a questo automa scrivano, convinto che contenga l’ultimo messaggio che il padre gli ha lasciato, Hugo vivrà una meravigliosa avventura in compagnia della giovane Isabelle, portando infine alla luce un segreto che riguarda uno dei padri del cinema delle origini, finito nel dimenticatoio dopo lo scoppio della Grande Guerra.

Oltre al già menzionato libro di Selznick, da cui ha preso avvio questo progetto tridimensionale, per l’impianto narrativo Scorsese si è ispirato ai romanzi di Charles Dickens per poi prendere, col prosieguo della storia, un’altra direzione e omaggiare, con grande rigore filologico, il cinema degli albori, in particolar modo quello legato al fantastico. Le ricostruzioni scenografiche dei set dei film di Méliès, ad opera di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, sono assai curate, scrupolose e dettagliatissime. Scorsese si è mantenuto il più possibile fedele alla realtà anche per quanto riguarda la ricostruzione (sebbene romanzata) della vita – personale e artistica – di Georges Méliès. Durante la visione del film si ha come l’impressione di riuscire a sentire e percepire lo sconfinato amore del maestro newyorkese per la Settima Arte e il suo inesauribile e contagioso entusiasmo nel cercare di trasmetterlo agli spettatori, soprattutto a quelli più giovani. Attraverso l’uso del 3D Scorsese intende suscitare nel pubblico quel senso di meraviglia e di stupore, misto a terrore, provato dagli spettatori alle fine dell’Ottocento nel vedere le immagini di L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat dei fratelli Lumière, citato più volte nel film e omaggiato in modo esplicito nella scena del doppio sogno di Hugo in cui un treno irrompe nella stazione di Montparnasse travolgendo ogni cosa.

Tra le tante citazioni disseminate da Scorsese all’interno del suo film è doveroso e giusto menzionare il capolavoro di Newmeyer e Taylor Preferisco l’ascensore! del 1923, omaggiato nella scena della fuga di Hugo, rimasto appeso alle lancette della torre dell’orologio per nascondersi agli occhi dell’ispettore ferroviario, proprio come Harold Lloyd, il protagonista di quella pellicola che Hugo e Isabelle vanno a vedere al cinema. Nel cast troviamo gli allora giovanissimi astri nascenti Asa Butterfield e Chloë Grace Moretz, perfetti nei panni di Hugo e Isabelle, i fuoriclasse Ben Kingsley e Christopher Lee, una dolce e tenera Emily Mortimer nel ruolo della fioraia di cui s’innamora l’ispettore ferroviario interpretato da uno straripante Sacha Baron Cohen e Michael Stuhlbarg, chiamato a impersonare lo studioso e critico cinematografico Rene Tabard con cui s’identifica Martin Scorsese, presente a sua volta in un breve cameo. Il grande autore italo americano, ispirato da un’avvincente e immaginifica favola sul cinema, con Hugo Cabret ha saputo conquistare gli adulti e far sognare i bambini.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.