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IL FILO NASCOSTO

IL FILO NASCOSTO

Phantom Thread foto3

Storia di una salvezza.

Di critica non c’è quasi bisogno per addentrarsi in un film come l’ultimo di Paul Thomas Anderson, tanto questo è cristallino. Tutto viene detto e confessato impudicamente e coraggiosamente nei primi minuti. Quasi non c’è artificio, non c’è mistero (1), c’è solo il controcampo spettatoriale (e voyeuristico?) rappresentato dall’intervistatore al quale la protagonista affida la sua versione della storia – il suo volto incuriosito e familiare verrà mostrato solo a cose compiute, a storia ormai svolta e disvelata. “Gli ho dato ogni parte di me”; e con queste parole non si possono nutrire più dubbi sull’esatta natura amorosa del sentimento di Alma.

Alma, appunto. Ossia “anima”. Ma anche, un riferimento diretto all’aggettivo latino almus, a, um, letteralmente “che dà vita, che nutre”. Alma e Reynolds, affermato stilista, si incontrano infatti per la prima volta quando l’uomo è affamato e la giovane donna presta servizio come cameriera. Il biglietto che la ragazza gli lascia dopo avergli portato la sua ordinazione è più che esplicito: “For the hungry boy. My name is Alma”. Alma è la sola che potrà sostituire la madre (e in parte la sorella) di Reynolds come punto di riferimento, musa, rovello, amore incondizionato. In una sequenza fin troppo scoperta, la giovane donna entra in camera dello stilista e convive per qualche istante nell’inquadratura con il fantasma della madre, una soggettiva impropria creata dalla mente dell’uomo in preda al delirio: quando lo spettro svanisce, Alma può annunciare a Reynolds che la febbre è passata.

Altro che amour fou. Il filo nascosto è solo il racconto (bellissimo) nudo, candido e indifeso, del coming of age di un uomo maturo. L’artista che credeva illimitati i suoi giorni, il vampiro che trovava svago soltanto nel suo lavoro, il fantasma di se stesso (guardatelo nelle prime inquadrature, in cui compare mentre si sta radendo e vestendo. Non è davvero vivo) conquista infine un’anima. Dopo aver vestito corpi e dato forma ai sogni altrui senza parteciparvi e al massimo lasciando una propria firma inequivoca nascosta nei vestiti (“Non posso sposarmi perché confeziono abiti”), Reynolds esiste finalmente davvero nell’orizzonte e nel sentimento di Alma. Tutta la loro storia è scandita secondo il rapporto con il cibo. Le rumorose colazioni di Alma, per l’uomo insopportabili, così come l’episodio del tè che interrompe la sua concentrazione. La cena dopo la quale lei gli chiede: “Hai mangiato abbastanza? Vuoi qualcos’altro?” per poi correre a casa, entrambi in preda all’urgenza del desiderio. La cena a sorpresa durante la quale litigano. I pranzi con i funghi. L’ultima e inequivoca frase del film: “Sì, ma adesso siamo qui e comincio ad avere fame”, che pare quasi un controcanto ironico del “Fuck” che chiudeva Eyes Wide Shut, film che ha più di qualcosa in comune con questo. Alma è davvero vita, amore, anima e, in una parola, nutrimento per Reynolds.

Il filo nascosto è così primario che appare persino riduttivo azzardare paragoni. La critica ha fatto non pochi nomi, da Hitchcock a Losey allo stesso Kubrick. (2) Ma al tirar delle somme, non serve a molto evidenziare i prestiti e gli inginocchiamenti. Un film come questo (e come The Post, anch’esso guardato con un po’ di sufficienza da quanti pretendono da ogni film che esso sia la punta avanzata di una riflessione filosofica sull’immagine o sul mondo) possiede la rara caratteristica di non voler reinventare nulla e di lasciare libero lo spettatore di sentire quanto vede, di “farsi il suo film” se ci passate l’espressione un po’ abusata. Ed è proprio così che riesce a diventare eccezionale nel panorama odierno, senza cercare di esserlo, soltanto mettendo in scena (come forse un tempo sarebbe potuto riuscire a Ingmar Bergman) la storia di una salvezza per mano dell’amore.

(1) Come Alma ribadisce quasi in chiusura: “Amarlo rende la vita tutt’altro che misteriosa.”

(2) Del resto il rapporto più diretto Il filo nascosto lo intrattiene con The Master: nella relazione indefinibile di maestro-allievo di quello si prefigurava molto del legame che unisce Reynolds e Alma.

voto_5

 

Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.