Una commedia del tempo presente.
Olivier Assayas goes comedy. La prima considerazione che viene da fare di fronte a un film che, a differenza dei precedenti Sils Maria (2014) e Personal Shopper (2016), si tiene su un registro lieve è che Assayas abbia voluto rifarsi a Rohmer, a Woody Allen e alla commedia sofisticata francese per il puro gusto di rompere il susseguirsi di opere densamente stratificate e “drammatiche” girate negli ultimi anni. Ma anche, perché no, per riprendere certi spunti comici del suo cinema meno recente (si pensi a Irma Vep).
Difficile dirlo con certezza. Il tiolo originale fa riferimento alle “doppie vite” e dunque, almeno in parte, a esistenze fantasmatiche e fantomatiche come quelle che escono dall’immaginazione di uno scrittore. Ma anche, se vogliamo, dalle molte bugie e ipocrisie di personaggi che sembrano per cultura e per natura ormai precari, provvisori in tutte le loro pose e posizioni, come piume che svolazzano in un girotondo che è sentimentale e sessuale non meno che culturale. E che, soprattutto, fa vivere e dibattere sempre due volte o più le medesime cose e le medesime esperienze. Se la prima mezz’ora sembra infatti concepita come una ricognizione dello stato presente dell’editoria e della cultura – in una forma che peraltro e a onor del vero non supera la profondità di una tavola rotonda sulle pagine de La Lettura -, il resto del film si pone come ulteriore intensificazione di un discorso sull’indecifrabilità del contemporaneo: tanto più da parte di figure che non vedono chiaro nemmeno in se stesse e che procedono per sensazioni e mots d’esprit che nulla aggiungono alla loro comprensione della situazione.
La forza e curiosamente anche il principale limite di Doubles Vies (non citiamo per ovvie ragioni il titolo imposto al film dalla distribuzione italiana) è nel suo essere un tentativo di affresco che si perde via via non nei dettagli, come sarebbe nel caso della piccola comédie humaine di un certo ambiente socioculturale, bensì nella sproporzione tra i grandi cambiamenti epocali che vengono evocati o paventati e l’insignificanza e inettitudine dei personaggi in scena, che non sono emblematici neppure del loro vissuto, impegnati come risultano a camuffare ai loro medesimi occhi la vita che vivono, travestendo l’autofiction (non solo scritta, anche verbale) di autoindulgenza un po’ goffa e insieme snobistica.
Potrebbe essere un film importante, a posteriori, questo Doubles Vies per il suo regista. Per ora il giudizio rimane un po’ sospeso, ma la fattura è troppo buona per avere la malagrazia di parlarne male.
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