Sign In

Lost Password

Sign In

IL PONTE DELLE SPIE

IL PONTE DELLE SPIE

bridgeofspies5

 

L’inamovibile speranza.
Da oltre quarant’anni Steven Spielberg persegue una sua idea di cinema inconfondibile e riconoscibilissima, intrisa di un profondo umanesimo e di un’incrollabile fiducia nei confronti del genere umano o, più propriamente, in alcuni esemplari ad esso appartenenti.
In piena guerra fredda James Donovan, brillante legale assicurativo presso un rinomato studio newyorkese, viene scelto suo malgrado per difendere in tribunale Rudolf Abel, presunta spia sovietica. Dopo aver svolto al meglio il suo compito, spingendosi ben oltre quanto gli era stato richiesto dai suoi stessi datori di lavoro, viene segretamente ingaggiato dalla CIA per negoziare il rilascio del pilota statunitense Francis Gary Powers, abbattuto e catturato dai russi mentre sorvolava i territori dell’Unione Sovietica a bordo di un aereo spia U2. Inviato in missione nella Berlino divisa da poco dal muro e ancora martoriata dalle ferite della seconda guerra mondiale, Donovan si trova così a dover organizzare uno scambio di prigionieri in una situazione divenuta ancor più tesa e complessa in seguito alla cattura di uno studente universitario americano da parte della polizia della DDR.
Ispirato ad una incredibile storia vera sceneggiata da Matt Charman e dai fratelli Coen che apportano al copione un tocco ironico e brillante, Il ponte delle spie non risparmia alcune stoccate affilate e avvelenate alla società americana dell’epoca – ma anche a quella attuale – particolarmente affetta da odio, diffidenza, paranoia e violenza. Il protagonista, interpretato da un intenso ed efficace Tom Hanks, qui alla sua quarta collaborazione con Spielberg dopo Salvate il soldato Ryan, Prova a prendermi e The Terminal, è un uomo dall’elevata statura etica e morale che prima si ritrova solo contro tutti a difendere il suo assistito visto dall’opinione pubblica come il nemico assoluto e poi sceglie d’infilarsi in una situazione più grande di lui, dove è costretto a far conto unicamente sulle sue forze per arrivare ad una soluzione positiva e mettere in salvo quelle vite umane che lo hanno spinto ad accettare un compito così difficile e rischioso. Il grande regista americano sta dalla sua parte (e noi con lui), non salva nessuno dei governi coinvolti (in primis quello americano) ed ha anche il coraggio di empatizzare con la spia russa, impersonata da Mark Rylance, attore sconosciuto al grande pubblico ma capace di offrire una performance a dir poco maiuscola, fatta di sfumature e giocata in sottrazione, che potrebbe regalargli importanti e meritati riconoscimenti nei prossimi mesi.
Spielberg mette in scena da par suo una spy story impregnata di dialoghi più che d’azione, che a parte la notevole sequenza dell’aereo abbattuto in volo non concede molto sul versante spettacolare, ma sa comunque intrattenere e appassionare il pubblico con estrema facilità e naturalezza. Asciutto, compatto, limpido ed essenziale come solo i grandi sanno essere, il cineasta statunitense porta avanti una narrazione classica e solida, piena di sostanza, senza mostrare alcuna urgenza di mettersi in mostra, dimostrando di avere raggiunto una invidiabile maturità artistica.
Notevole l’incipit, carico di una sottile tensione che rimanda al miglior cinema americano degli anni ’70, ottima la ricostruzione d’ambienti e del periodo storico ben supportati dalla fotografia del grande Janusz Kaminski, sodale da lungo tempo di Spielberg. Non mancano le sequenze altamente drammatiche, specie nella seconda parte ambientata a Berlino, col Muro che prende forma sotto i nostri occhi con tutto il suo pesante carico di vite recise e spezzate negli anni a venire. Un muro sorto per dividere un popolo e annientarlo sotto il peso e l’influenza di ideologie antitetiche, a differenza del ponte – che invece unisce e collega – dove si svolge lo splendido e intenso epilogo con Donovan e Abel che incrociano nuovamente le loro strade. Il loro tempo e le loro nazioni li vorrebbero nemici a tutti i costi, ma i due hanno imparato a conoscersi e a stimarsi reciprocamente, instaurando un rapporto amicale ben più saldo e forte delle opposte fazioni a cui appartengono. Ancora una volta emerge e irrompe nella poetica spielberghiana una inamovibile speranza, spesso erroneamente scambiata dai suoi detrattori per buonismo o eccessivo sentimentalismo, nei confronti del genere umano o più semplicemente, come si diceva all’inizio, in alcuni sporadici esemplari che ne fanno parte.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.