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IL REGISTA DELLE MERAVIGLIE

IL REGISTA DELLE MERAVIGLIE

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La straordinaria giovinezza di Woody Allen.

Woody Allen è uno di quei (pochi) registi divenuti iconograficamente celebri non soltanto per l’opera ma per la loro stessa immagine – novero nel quale possiamo inserire anche Dario Argento e Alfred Hitchcock. Questo ha fatto sì che la sua notorietà si allargasse a dismisura, e che (per fortuna o purtroppo) chiunque, sapendo chi fosse anche solo per calligrafica conoscenza del volto, si sentisse in dovere di esibire la propria opinione sul suo cinema. Che poi, nel sentire comune, Allen è sinonimo non solo di psicanalisi ma anche di comicità: e quando manca una delle due, quel pubblico (distratto, ignorante, e disertore delle sale) ne boccia il film irrimediabilmente. Probabilmente, è questo uno dei motivi alla base del grande fraintendimento di cui è vittima l’ultima (ancora in corso) fase del cinema di questo genio riconosciuto: che come ogni grande artista, ha ovviamente mutato la sua poetica e il suo universo man mano che il (suo) mondo mutava, restando quindi al passo con i tempi pur restando fedele a se stesso. O quantomeno al se stesso che andava divenendo.

Tra Parentesi

Non che sia così importante ai fini del nostro discorso: ma è fortemente indicativo di ciò che Woody Allen è nell’industria del cinema considerare questi numeri, brevemente, prima di addentrarsi in discorsi ben più approfonditi e significativi.

Dei dodici film fatti da Allen fra il 2002 e il 2014: in tre casi gli attori sono stati candidati agli Oscar, due hanno ottenuto la statuetta (Cate Blanchett e Penelope Cruz); tre dei suoi copioni sono stati candidati all’Oscar nella categoria “miglior sceneggiatura originale”, e Match Point l’ha vinta; Midnight in Paris è stato candidato come miglior film; e sommando alla fine tutti i premi e le candidature agli Oscar, ai BAFTA, ai Golden Globe, agli Screen Actors Guild Awards e ai Writers Guild Awards, i film di Woody hanno ricevuto 199 candidature e 131 premi. E attualmente, con le sue 16 nomination come sceneggiatore e 7 come regista, è terzo a pari merito come numero di candidature alla regia.

Incontrerai L’Illusione Dei Tuoi Sogni

Anche le pietre lo sanno: Allen nasce come dialoghista comico, imponendosi subito e restando immediatamente nella storia per quella sua comicità (oggi stravista e quasi banale) yiddish e intellettuale, grottesca e surreale insieme. Sono più di quattro le decadi coperte dai suoi film, da quel primo Prendi I Soldi E Scappa fino al portentoso La Ruota Delle Meraviglie attualmente in sala, testimonianza prodigiosa di un regista fortemente vivo e vitale, la cui visione del cinema continua ad essere lucidissima e precisa e addirittura riesce anche a stupire con sinuosi movimenti di macchina che incoronano Kate Winslet come l’attrice del 2017, grazie anche alle luci avvolgenti e cangianti di Storaro. Ad ogni modo, il suo cinema, come dicevamo, è ben legato all’attualità (come ha ben sostenuto Pier Maria Bocchi nel suo imprescindibile saggio su Allen), ed è un lunghissimo percorso di riflessione su un solo personaggio che prende su di sé passaggi esteriori e paesaggi interiori: che poi sia la storia americana o la Storia di ogni uomo dipende dall’angolazione da cui ogni film si vuole o si deve guardare.

I media, dopo le tormente sentimentali degli anni Novanta, hanno spostato l’attenzione (anche di quel pubblico distratto e talebano di cui sopra) dall’arte al privato, depistando e decentrando la critica ufficiale: e il cambiamento, a volte repentino, dell’Allen regista, attore e artista, ha contribuito al “grande fraintendimento”: che il regista, più o meno varcando gli anni Duemila, sia stanco e abbia intrapreso la china discendente. Niente di più sbagliato.

Anzi, stessa identica presa di posizione di quando verso la fine degli anni Settanta il regista di Manhattan passò dalla comicità pura di Il Dormiglione al dramma interiore di Interiors (1978). Ma appunto, evolvi o muori, e Allen l’ha fatto. Arrivando, negli anni Dieci, a sfornare ben tre capolavori come l’ultimo La Ruota Delle Meraviglie, Blue Jasmine e Irrational Man.

Insomma, i 48 film che vedono la sua regia sono un corpus unico e irripetibile, frutto di un genio del Cinema che non smette di stupire, di evolversi, di maturare e di mostrare cosa sia il cinema, purissimo.

I film “incriminati” vedono come capofila Criminali Da Strapazzo, La Maledizione Dello Scorpione di Giada, Hollywood Ending: film minori in effetti, ma erano divertissement che rappresentavano la pacificazione esistenziale dell’uomo Allen dopo le tempeste sentimentali degli anni precedenti. Ma già dal successivo, Anything Else (id., 2003), un geniale sliding doors sui generi, i detrattori sono clamorosamente smentiti, per non parlare dei capolavori successivi, come Match Point e Sogni E Delitti, straordinari recaps di una poetica che continua a declinare le sue fondamenta (vita e rappresentazione, dramma e commedia) in vista del totem emotivo su cui Allen sta costruendo la sua filmografia di oggi: l’illusione.

L’uomo ha bisogno delle illusioni come dell’aria che respira”, dice la voce over sul finale di Incontrerai L’Uomo Dei Tuoi Sogni (You Will Meet A Tall Dark Stranger, 2010): proprio le illusioni sono diventate il mezzo fondamentale e unico attraverso cui riuscire a vivere e anzi sopravvivere nel mondo. L’ebreo errante intellettuale di Manhattan (id., 1979) e Hannah e le sue sorelle (Hannah & Her Sisters, 1986) oggi non ha che due alternative: abbandonarsi ad atti vandalici e alla violenza più insensata verso una società che l’ha sempre respinto, come accade in una delle scene più insoliti ma più significative dell’intero corpus alleniano in Anything Else; oppure crogiolarsi nel suo essere un dinosauro sopravvissuto in un’era che non gli appartiene più, come in Basta che Funzioni (Whatever Works, 2009). Per il resto, senza le illusioni, c’è solo una giungla dove la sopraffazione è la regola, come in Match Point (id., 2005), dove il “povero” Chris, abbandonato ogni sogno d’amore per una vita di agi e ricchezze accanto ad una moglie di cui non è mai stato innamorato, decide di uccidere – metaforicamente e materialmente – ogni sogno e ogni desiderio, sparando alla donna che invece ama.

Se si scruta a fondo nella Vita per poterne carpire il Senso (che secondo Allen non c’è), non si fa altro che scrutare “nietzschianamente” in fondo all’abisso, facendo quindi in modo che anche l’abisso scruti in noi, osservando nello stesso momento lo svelamento dell’orrenda e vertiginosa vacuità del Male.

Successivamente a queste derive laceranti e amare da un punto di vista etico, nei film di Allen sembra (ri)tornare la “pace”, attraverso il venire a patti con l’esistenza, solo accettando di vivere illudendosi di avere ciò che invece non si avrà mai. E’ il motivo per cui le ultime produzioni alleniane si sono fatte più solari e meno desolate: sono esemplari, in questa direzione, due piccoli gioielli come Midnight In Paris (id., 2011) e To Rome With Love (id., 2012).

Da Allen Con Amore

Midnight in Paris, acclamato fin dalla sua presentazione al Festival di Cannes, è un film leggero e soave, intenso e soffuso, malinconico senza essere mai triste, un bellissimo trattato sul sogno e sulla nostalgia, che intreccia Arte e Vita come al solito e mostra come l’Una debba essere ineluttabilmente intrecciata con l’Altra. Nel film, uno stralunato e perfettamente stropicciato Owen Wilson interpreta Gil, sceneggiatore di commediacce hollywoodiane che sogna di scrivere il libro della sua vita e cerca ispirazione in un viaggio europeo con la futura moglie e i suoceri insopportabilmente snob: la trova inspiegabilmente rivivendo gli Anni Venti, dove tra una passeggiata con Fitzgerald e un consiglio di Hemingway si innamorerà perdutamente di Adriana. Il film è perfetto nella sua insostenibile levità, per come invita lo spettatore a perdersi nelle strade piovose di una Parigi mai così romantica: ma contemporaneamente, mostra che se il presente non sembra il posto ideale dove vivere, è proprio questa insoddisfazione a renderci incapaci di rimetterci sempre in gioco alla ricerca di quello che non c’è, quello splendido nulla che ci ostiniamo a chiamare “felicità”. In pratica, bisogna saper sognare e saper vivere pervicacemente in quel sogno per riuscire a vivere bene.

Massima di vita che sembra suggerirci anche To Rome With Love, inspiegabilmente malvisto dalla critica per aver dato di Roma un’immagine stereotipata. Così dicendo, sembra però ci si dimentichi che Allen da sempre lavora “sui” luoghi comuni, usando la personalità delle varie città (Londra e Match Point, Parigi e Midnight in Paris, Barcellona in Vicky Cristina Barcelona) come mero palcoscenico per raccontare la sua storia. Che immancabilmente, anche in questo film, si costruisce attorno ai sogni e ai desideri realizzati e irrealizzati di un gruppo di personaggi che riesce ad affrontare la vita soltanto armandosi di illusioni. “L’unico modo per essere felici è raccontarsi bugie”, ha detto Allen in un’intervista: ed è esattamente quello che fa Alessandro Tiberi, che mente ai suoi datori di lavoro fingendo che sua moglie sia la bella e spigliata Penelope Cruz; quello che fa Alec Baldwin, architetto in viaggio a Roma che per una giornata diventa la “coscienza” di se stesso a vent’anni, aiutandosi così a conquistare la ragazza che gli aveva fatto perdere la testa; è anche quello che fa lo stesso Allen, alle cui orecchie suona come una voce splendida il canto del futuro consuocero, in realtà è banalissima ma lo aiuterà a riconquistare fiducia nelle sue capacità professionali ora che è in pensione. Insomma, c’è un evidentissimo filo rosso che lega le storie di To Rome With Love, e che a sua volta lega il film agli ultimi di Allen: il sogno come unica strada per la felicità. Le bugie che ci raccontiamo ci salvano oggi da una realtà nella quale non riusciamo più a riconoscerci, o che semplicemente rifiuta di integrarci per quello che siamo nel profondo. E in fondo lo dice anche Justin Timberlake, nell’ultimo (ad oggi) La Ruota Delle Meraviglie per bocca di Eugene O’Neill: ci raccontiamo bugie per poter vivere.

Proprio Wonder Wheel sembra un’ulteriore approdo che percorre le stesse strade e mostra paesaggi diversi: con quell’immagine finale che nega ogni possibilità di happy end, quasi a negarlo a tutto il cinema rincorrendo da vicino Antoine Doinel in riva al mare e mostrandone invece il riflesso oscuro, quell’infanzia negata che produce una rabbia che brucia tutto intorno a sé. Figlio di un padre dissolto in un rullo di tamburi e di una madre irrimediabilmente persa nell’illusione di un passato perduto e di un presente negato.

Partendo allora dal Virgil Starkwell di Prendi i Soldi e Scappa (Take the Money and Run, 1969), passando per il Cliff Stern di Crimini e Misfatti (Crimes & Misdemeanors, 1989), e finendo con la portentosa Virginia di La Ruota Delle Meraviglie, è questo l’approdo ultimo del drop-out ebreo intellettuale alleniano, sempre contro e sempre “fuori” da ogni coordinata sociale, sempre più preoccupato di inseguire i propri sogni trasfigurando una realtà indifferente in un luogo felice. Che, appena trovato, già non c’è più.

Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.