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Il palloncino bucato.

Nonostante la speranza sia l’ultima a morire bisogna ammettere che quasi nessuno riponeva grandi aspettative sul secondo e ultimo capitolo di IT dopo una prima parte piuttosto piatta e deludente. Ebbene, alla luce del secondo, eterno e sfiancante capitolo, non si può che rivalutare il primo che in confronto sembra girato da un Frank Darabont in stato di grazia. Il regista Andy Muschietti, che prima di ritrovarsi per le mani l’adattamento cinematografico dell’epocale romanzo di Stephen King aveva girato un solo film, peraltro piuttosto anonimo come La madre, sembra un ragazzo col foglio rosa al volante di una Ferrari. Il secondo capitolo conferma e amplifica gli evidenti limiti e i vistosi difetti del primo, che almeno durava poco più di due ore contro le quasi tre di quest’ultimo. Dopo un avvio promettente, con un incipit suggestivo e immersivo, il film si spegne poco a poco, perdendo mordente, incisività e compattezza. L’opera di Muschietti non inquieta, non spaventa e non disturba, finendo per implodere su se stessa nell’ultima parte (a dir poco interminabile) che si trasforma quasi in un fantasy goffo e demenziale. Il regista e lo sceneggiatore Gary Dauberman rinunciano presto a imbastire e a portare avanti la narrazione per dedicarsi a una serie infinita, meccanica e ripetitiva di jumpscare destinati a mettere a dura prova la pazienza degli spettatori, travolti e sommersi da alcune “trovate” visive insulse e imbarazzanti, anche a causa dell’uso massiccio e deleterio della computer grafica, che non funziona quasi mai nei film horror.

A conti fatti il progetto è stato mal gestito da subito, già in fase di pre-produzione del primo capitolo, con Cary Fukunaga (coautore del primo script insieme a Chase Palmer) uscito di scena in seguito a inconciliabili divergenze artistiche con la New Line, la casa di produzione del film. Oltre a scrivere l’adattamento, il regista della prima stagione di True Detective avrebbe dovuto dirigere i due capitoli, passati poi nelle mani di Muschietti e Dauberman che purtroppo non hanno saputo restituire minimamente la portata di uno dei romanzi più famosi e venerati del re dell’orrore. Dividere nettamente le due epoche in cui è ambientata la storia suonava già come un campanello d’allarme, dal momento che uno dei punti di forza del libro sta nel continuo andirivieni temporale. Muschietti e il suo entourage non hanno avuto le idee chiare, come evidenziato dal parziale cambio di rotta del secondo capitolo, in cui invece abbondano i flashback coi protagonisti ancora bambini.

Non va meglio per quanto riguarda l’ambientazione. Come già scritto e detto due anni fa in occasione dell’uscita del primo capitolo, la scelta di spostare l’ambientazione dagli anni ’50 in cui si muovevano i ragazzini nel romanzo agli anni ’80 (e dagli ’80 ai nostri giorni per quanto riguarda i protagonisti adulti) appare piuttosto facile e furba, fatta per cavalcare l’onda del revival anni ’80 che non accenna a spegnersi o esaurirsi. Tutti i riferimenti a quel decennio disseminati nell’arco di cinque ore (più o meno la durata complessiva delle due parti del film) si dimostrano posticci e forzati, introdotti sulla scena con pesantezza e goffaggine, in malo modo, senza alcuna naturalezza. Ne deriva quindi un clamoroso effetto boomerang perché non si riesce in alcun modo a restituire lo spirito e l’atmosfera degli anni ’80 che invece si ritrova perfettamente nelle varie stagioni di Stranger Things dei fratelli Duffer o in Bumblebee di Travis Knight, giusto per citare due titoli piuttosto recenti.

Il rimpianto più grosso per gli amanti del genere horror e del romanzo di culto di King, che nel secondo capitolo appare in un breve e simpatico cameo, sta nel constatare e prendere atto che questo primo adattamento cinematografico, dopo il film per la tv d’inizio anni ’90, è finito nelle mani sbagliate, affidato a un regista mediocre e trascurabile. Con un budget di questa entità un autore più capace e a suo agio nel genere horror come Mike Flanagan avrebbe tirato fuori ben altro film. Tra le curiosità da segnalare la partecipazione in veste di attore di Xavier Dolan, protagonista nel prologo del film, ovvero la scena più riuscita e ispirata nell’arco di quasi tre ore. Inoltre il cast di questo secondo capitolo vede riuniti Jessica Chastain, James McAvoy e Bill Hader (nei ruoli adulti di Beverly, Bill e Richie) che avevano già recitato insieme qualche anno fa in La scomparsa di Eleanor Rigby di Ned Benson.

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Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.