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JOHN MCENROE – L’IMPERO DELLA PERFEZIONE

JOHN MCENROE – L’IMPERO DELLA PERFEZIONE

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Il fallimento della perfezione.

La citazione godardiana che apre questo notevole documentario sancisce seccamente che il cinema è menzognero, lo sport no. Difficile stabilire se sia vero, ma il lavoro di Julien Faraut – che prende le mosse da una grande mole di materiali girati a scopo didattico per la tv francese – tenta di fare proprio questo: dimostrarlo. Parte da presupposti teorici, cita il punto di vista di Serge Daney sul tennis e sulla sua invenzione e manipolazione del tempo, cerca di capire e di spiegare come le Arriflex e il 16mm dell’epoca potessero insinuarsi dentro i segreti del gioco di un tennista che ha incantato il mondo. E deve presto arrendersi, a dispetto dell’approccio scientifico. Perché la macchina da presa in un modo o in un altro influenza il risultato, modifica le sensazioni, forse anche fuorvia, toglie o aggiunge qualcosa al modello. Quel qualcosa che non si può afferrare solo scomponendo il tutto nelle sue parti. Non è così che funziona, non stiamo parlando di robot o di processi.

Allora, quel che resta da fare è lasciar parlare le immagini e limitarsi a sovrapporvi le parole, i commenti, le speculazioni e le intuizioni. A differenza di quello che accadeva con Zidane – Un ritratto del XXI secolo (2006) di Douglas Gordon e Philippe Parreno, qui non si sconfina nella videoarte, anzi, si può dire che si rimanga ancorati saldamente a un solido documentarismo.  Tuttavia, trattandosi di John McEnroe, sarebbe sbagliato (e delittuoso) tradurre le immagini in ragionamenti semplici. Quello che emerge dall’enorme mole di immagini di repertorio è molto di più. Il mancino americano è infatti il vero e proprio regista delle sue esibizioni. Un regista ossessivo, che mette continuamente in scena il suo dramma interiore, come un artista perduto nei meandri della propria anima creativa. La partita che McEnroe gioca è prima di tutto contro se stesso (viene da pensare – anche se non viene mai citato – che un libro come The Inner Game of Tennis di Timothy Gallwey faccia da sfondo ad alcune riflessioni); e in seconda battuta è un match contro l’avversario, gli arbitri, il pubblico, i giornalisti, i microfonisti e i cameramen, tutti oggetto della sua furia, trattati come tante comparse o come la troupe del film di un autore di genio. L’importante è la sua strategia della tensione, che può poi montare in ondate di rabbia e nervosismo proverbiali, a volte autodistruttive, forse più spesso benefiche per il gioco di questo immenso campione. Lo scrive lo stesso SuperMac nella sua autobiografia: tutti i grandi campioni avevano il loro pezzo forte. “My shtick, of course, was getting upset” (1), il mio era arrabbiarmi.

John McEnroe – L’impero della perfezione non è solo un documentario capace di addentrarsi nei segreti di un fuoriclasse. È anzitutto una resa al potere del talento. Il cinema non può cogliere la massima espressione del genio di McEnroe nell’anno più fulgido della sua carriera, il 1984. Non può scoprire l’essenza delle sue leggendarie volée, dei suoi drop shot incredibili. Può suggerire molte cose, arrivare lontano nella comprensione, ma non farci vedere e sapere tutto. La perfezione non esiste, e infatti anche John McEnroe può perdere una finale dominata giocando per due set in modo letteralmente sublime. Ma se c’è uno che c’è andato vicino, alla perfezione, quello è SuperMac, il Mozart del tennis. E il merito di questo film è di mostrarcelo senza lasciare dubbi.

(1) Serious, ed. Time Warner Paperbacks, 2003, p. 178

voto_4

Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.