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House foto5

Altre costruzioni.

Lars von Trier (LvT da qui in poi), più o meno come Michel Houellebecq, riesce sempre a far imbufalire i suoi detrattori e – ma in modo più sfumato – divertire tutti gli altri. Addirittura, le ultime due opere dei suddetti hanno un ulteriore e curioso punto di contatto nel riferimento a Goethe che, nelle parole del protagonista del romanzo dello scrittore transalpino, era “un vecchio imbecille” (1), mentre in The House That Jack Built è infilato nel bel mezzo di un discorso sul paradosso di un campo di concentramento che “cresce” tutto attorno al meglio di quanto prodotto dall’ingegno tedesco.

Siamo sempre lì. La nuova opera di LvT è ancora un inno sardonico sull’inutilità della nostra cultura e sulla sua degenerazione, ma un inno in cui l’ironia confina spesso con uno spirito di patata che non si ferma davanti a niente, omicidi (di massa oppure no) inclusi. La continuità con Nymphomaniac è evidente, ma di questo si può pure fregarsene. Come si può infischiarsene del genere del serial killer movie, che è uno specchietto per le allodole. I personaggi di LvT sono spesso (non sempre), nella loro nudità tanto indifesa, soltanto esseri umani che cercano amore, senso, salvezza. E lo fanno malamente, rozzamente, stupidamente, criminalmente; ma non per questo cessano di essere (in)credibili, buffi e sconcerta(n)ti. Possono ambire al meglio o al peggio per sé a seconda dei momenti in cui LvT li ritrae, risultare depressi, superomistici, inaffidabili, sprezzanti, petulanti, disperati, bugiardi, cinici, svergognati, omicidi. Ma non smettono di interrogare il mondo che li ha partoriti e la cultura che li vorrebbe accudire e, viceversa, non finisce di smarrirli. Uscire da quest’inferno è una chimera. Altro che riveder le stelle. Altro che Commedia. La frustrazione dell’ingegner Jack in quest’ultimo film nasce con l’impossibilità di costruire una casa ideale. L’architetto è una contraddizione in termini. Allora tanto vale provare altre vie. Altre costruzioni. Anche fatte di carne e sangue e corpi, che siano smembrati o nel loro ridicolo ammasso. Per Houellebecq la scelta alla fine della cultura occidentale è “disimparare a vivere”; per LvT è continuare a incarnare e cavalcare impune lo scandalo dell’inconciliabilità fra aspirazioni al grandioso (come quando Glenn Gould suona Bach) e comica inezia degli esiti. Umani, troppo umani.

Ha senso cadere ancora nella rete di LvT? Questa sembra essere la preoccupazione di coloro che lo osteggiano, stanchi del gioco a cui continua imperturbabile a dedicarsi, arrabbiati per la leggerezza con cui il danese flirta con l’osceno, il morboso e il mostruoso e ce lo spiattella in faccia. Lui non se ne cura. Fa loro una bella pernacchia, imbastisce un canovaccio che li irriti nella sua ripetizione (che è un’infinita variazione e auto-citazione, kitsch finché si vuole), ride se lo considerano una specie di genio del male. Ma quale male. Semmai, LvT è un genio del marketing. I critici non hanno sufficiente arguzia per sogghignare. LvT inoltre ha ancora in serbo molti assi. In fondo anche Jack ha raccontato solo alcuni dei suoi 61 grotteschi omicidi. E se pure precipita nel nulla, non è detto che sia finita lì. Anche LvT, dopo opere che parevano tombali come Antichrist e Melancholia, è riemerso con due lavori che ne sanciscono il ritorno ad una forma che, per colmo di paradosso, viene scambiata per un prodotto della depressione. O per merda. Ma basterebbe la fine della tarantiniana Thurman, invadente scocciatrice che provoca l’assassino e ci rimane secca come la Bridget Fonda che assillava lo sciroccato De Niro in Jackie Brown, a convincerci del contrario: sarà rozzo, ma non è esaurito. Consapevoli di farci dei nemici (o di farci compatire), ci auguriamo di divertirci ancora con tanti film di questo regista.

(1) “… l’umanista tedesco tendenza mediterranea, uno dei più patetici rimbambiti della letteratura mondiale” (Serotonina, p. 318, La nave di Teseo, 2019)

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Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.