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LA NOTTE DEL 12

LA NOTTE DEL 12

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Un mondo di uomini.

Già, un mondo di uomini, come dice la nuova recluta – una giovane donna della polizia giudiziaria di Grenoble – al suo diretto superiore durante un lungo appostamento notturno a tre anni di distanza dall’uccisione di una ragazza di 21 anni, bruciata viva da un folle rimasto ignoto e quindi impunito. Poco prima la giovane recluta, non ancora poliziotta ai tempi del brutale omicidio, aveva fatto notare al suo capitano che sono gli uomini a uccidere le donne e sono sempre gli uomini designati a indagare e investigare su questi crimini. Un mondo di uomini, appunto. In precedenza un’altra donna, stavolta un giudice istruttore, aveva convocato il capitano della polizia di Grenoble per chiedergli di riaprire il caso di Clara, la ragazza ventunenne bruciata viva tre anni prima. Nel dialogo intercorso tra i due, al capitano restio a riprendere in mano un caso che lo aveva logorato e ossessionato per diverso tempo, la giudice aveva risposto che c’è qualcosa di sbagliato tra gli uomini e le donne.

Quelli appena descritti sono due dei momenti più alti e più significativi del nuovo film di Dominik Moll, regista e sceneggiatore tedesco naturalizzato francese (ex assistente alla regia di Laurent Cantet), presentato in anteprima all’ultima edizione del Festival di Cannes. Dopo l’ottimo Only the animals – Storie di spiriti amanti, presentato alle Giornate degli Autori di Venezia 76, con La notte del 12 Moll conferma di attraversare un momento artistico particolarmente felice e ispirato. Il film si apre con una didascalia dove si riporta che il 20% degli omicidi commessi in un anno in Francia è destinato a rimanere senza un colpevole e avverte così il pubblico che la storia a cui sta per assistere  è ispirata a uno di questi crimini impuniti. Moll dunque gioca da subito a carte scoperte con gli spettatori, informandoli che al termine del suo film non conosceranno il nome del colpevole. Del resto all’autore francese non interessa solo focalizzarsi sul whodunit, come non interessava più di tanto a David Fincher quando realizzò Zodiac, ma è interessato a indagare la natura umana e i motivi che conducono gli uomini a odiare le donne fino a ucciderle nei modi più feroci. Il capitano della polizia, interpretato da un intenso, umanissimo e incisivo Bastien Bouillon, afferma davanti al giudice istruttore che è intenzionato a riaprire il caso di Clara che ogni indagato per il crimine avrebbe avuto un motivo per uccidere la ragazza, arrivando perfino a sostenere che ogni uomo avrebbe potuto assassinarla. Sono parole durissime e scioccanti alle quali il poliziotto, divenuto capitano poco prima del rinvenimento del cadavere della ragazza, è giunto dopo aver interrogato nel corso degli anni tutti i potenziali sospetti (ex della giovane o presunti tali) e dopo aver seguito invano ogni pista possibile e immaginabile. Nel corso dell’indagine davanti ai suoi (e ai nostri) occhi è passata un’umanità nerissima, composta da giovani uomini violenti e cinici, indolenti e indifferenti alla sorte toccata a Clara. Non sono da meno alcuni suoi colleghi, poliziotti dalla mentalità ottusa e maschilista che di fronte alle relazioni “sbagliate” della ragazza arrivano a pensare che in fondo se l’è andata a cercare (un po’ come accade con le innumerevoli vittime di stupro “colpevoli” per l’opinione pubblica di essere vestite in modo provocante e appariscente).

Moll, assieme allo sceneggiatore di fiducia Gilles Marchand, indaga su un microcosmo che, per estensione, rappresenta e riproduce fedelmente la nostra società e la mentalità della gente, non solo degli uomini ma anche di molte donne (come la signora anziana seduta davanti a me  al cinema che all’ennesimo ex della ragazza esclama ad alta voce che ne aveva avuti un po’ troppi). La migliore amica di Clara, redarguita in più d’una occasione dal capitano della polizia per non avergli fornito un elenco completo ed esaustivo degli ex della ragazza, scoppia in lacrime affranta e sconsolata perché ai suoi occhi anche le forze dell’ordine giudicano l’amica alla stregua di una prostituta e non come la vittima di un crimine orrendo e mostruoso. È in quel preciso istante che il commissario Yohan, per sua natura empatico e comprensivo, si distacca da questo modo di ragionare che attanaglia la nostra società e guarda al caso in modo diverso, scevro da un inutile e controproducente giudizio morale. In un film che parla di violenza nei confronti delle donne e di uomini ossessionati dalle figure femminili (siano esse mogli, amanti, “scopamici”, fidanzate o ex) il giovane capitano della polizia, che conduce una vita monotona e solitaria dividendosi tra casa, lavoro e opprimenti corse notturne al velodromo, è l’unica figura maschile positiva, il solo, oltre ai poveri genitori della ragazza, a provare compassione verso una giovane arsa viva per le strade di un piccolo paese di montagna nel cuore della notte dopo aver trascorso una serata con le amiche.

Il mondo, con la sua complessità e le varie mostruosità annesse, resta un posto oscuro e insondabile, misterioso e indecifrabile. Per Hemingway il mondo è un bel posto e vale la pena di lottare per esso, per il detective William Somerset al termine di Seven, diretto come Zodiac da David Fincher, solo la seconda parte della frase dello scrittore è condivisibile. Probabilmente la pensa così anche il capitano Yohan, destinato a fallire nonostante la sua totale abnegazione nei confronti di un caso che lo ha segnato e cambiato nel profondo. Clara, come tante altre donne prima e dopo di lei, è vittima di una società spietata e volgare, violenta e misogina, ottusa e indifferente. La notte del 12, uno dei grandi film della nuova stagione cinematografica, è un polar rassegnato e malinconico, dalla narrazione sospesa e interrotta come l’indagine investigativa a cui ruota attorno, descritta e filmata in modo magistrale da Dominik Moll che di fronte a tanto orrore e dolore decide di chiudere su un paesaggio di montagna di abbacinante bellezza, conducendo finalmente il suo protagonista a pedalare all’aria aperta e non come un criceto in gabbia.

voto_5

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.