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LA SCELTA DI ANNE – L’ÉVÉNEMENT

LA SCELTA DI ANNE – L’ÉVÉNEMENT

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Padrona del proprio corpo.

Il film di Audrey Diwan è tratto dalla vicenda autobiografica di Annie Ernaux, raccontata dalla scrittrice francese nel romanzo L’evento pubblicato nel 2000, ovvero quasi quarant’anni dopo quella tragica e sofferta esperienza. Nella Francia del 1963 l’aborto è ancora illegale, il solo parlarne è considerato un tabù, chi vi ricorre e lo pratica rischia il carcere. Anne, studentessa universitaria ad Angoulême, rimane incinta dopo un rapporto di sesso occasionale. Da qui per la ragazza inizia un iter doloroso e sofferto, scandito dal passare ansiogeno delle settimane, conteggiate da didascalie che appaiono in sovrimpressione sullo schermo, a dare risalto all’inesorabile scorrere del tempo. Anne è una studentessa modello, è brillante e sembra decisa a intraprendere la carriera d’insegnante una volta ultimati gli studi. Anne rivendica con forza, ostinazione e tenacia di poter essere padrona del proprio destino, di non dover mettere da parte sogni e aspirazioni a causa di una gravidanza inaspettata e indesiderata. Anne non vuole lasciare gli studi per diventare una giovane madre e fare poi la casalinga, ruoli a cui vorrebbe relegarla la società. Anne rivendica una possibilità di scelta, negata brutalmente e ottusamente dalle istituzioni, consapevole com’è che il corpo è suo e suo soltanto. La macchina da presa di Audrey Diwan, al suo secondo film da regista dopo aver esordito nel 2019 con Mais vous êtes fous, segue costantemente la giovane protagonista, non la molla un attimo, la ingabbia in inquadrature claustrofobiche in formato 4:3 che ne restituiscono la solitudine, il malessere e la disperazione nel dover affrontare da sola una gravidanza indesiderata a cui deve porre fine il più in fretta possibile, prima che sia troppo tardi. Ci sono almeno tre sequenze all’interno del film assimilabili al body horror al cui confronto Titane, controversa e discussa ultima Palma d’oro a Cannes, è una passeggiata di salute. Queste tre scene incentrate sui tentativi di aborto, insistite e protratte fino a diventare insostenibili, non sono eccessive o gratuite, ma servono alla Diwan per far provare al pubblico la sofferenza e l’indicibile dolore fisico vissuto dalla ragazza, per costringerlo a immedesimarsi con lei fino a percepire in prima persona quel travaglio. Siamo nel 1963, un tempo così lontano eppure così vicino – e infatti non si insiste mai sulla cornice storica o d’epoca, per rimarcare che la tematica è drammaticamente attuale – se si considera quanto sia complicato tuttora per le donne decidere di abortire anche laddove è legale, come accade in molte zone d’Italia dove di fatto bisogna ricorrere alle cliniche private perché nel pubblico ci si scontra con l’obiezione di coscienza di tanti medici. Per tacere dei numerosi paesi in cui è ancora illegale, perfino davanti a situazioni limite come le gravidanze causate da stupri e violenze. La Diwan, insistendo sui tentativi d’aborto e sul corpo martoriato della giovane protagonista, interpretata dalla bravissima attrice d’origini rumene Anamaria Vartolomei, in lotta con un feto via via sempre più forte e difficile da espellere, prova a far prendere coscienza agli spettatori di come si tratti sempre e comunque di una scelta privata e personale, non giudicabile dall’esterno, davanti a cui solo le dirette interessate dovrebbero avere voce in capitolo e di quanto sia sbagliato, per non dire osceno e mostruoso, che i governi e le istituzioni si possano arrogare il diritto di vietare, costringendo molte donne a portare a termine gravidanze indesiderate o a rischiare la vita a causa di aborti clandestini.

Probabilmente La scelta di Anne (una volta tanto il titolo italiano, così chiaro, semplice e palese, ci sembra più efficace e appropriato di quello originale che si rifà per l’appunto al romanzo omonimo di Annie Ernaux) non era il migliore o tra i migliori film di Venezia 78, ma è un Leone d’oro che premia il coraggio, il rigore e l’intransigenza di un’autrice che ha il merito di porre e richiamare l’attenzione su un tema tuttora scabroso e scottante, sottolineando come l’interruzione di gravidanza consista in una scelta personale e che tale dovrebbe restare. E infatti il film, che ci mette un po’ a carburare ma quando lo fa non dà più scampo, non si permette mai di giudicare il comportamento di Anne, costretta dalle istituzioni a rischiare la vita pur di essere libera di effettuare una scelta che è e deve essere solo sua e di nessun altro. Dopo quella scelta per Anne c’è il ritorno alla vita, una proiezione verso il futuro per inseguire una carriera da scrittrice che le consentirà dopo tanti anni di ripercorrere e rielaborare quell’evento traumatico.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.