L’ultima gemma di un maestro dell’animazione.
Presentato nel 2013 al Festival di Cannes, approdato nei nostri cinema come evento speciale nel novembre dello stesso anno, La storia della principessa splendente torna in sala grazie a Lucky Red che questa estate ha deciso di distribuire nuovamente alcuni dei titoli più importanti di Isao Takahata. La speranza è che raggiunga il pubblico che purtroppo mancò oltre dieci anni fa, quando rimase sul grande schermo per appena tre giorni.
Ispirato a Taketori monogatari (Il racconto di un tagliabambù), uno dei racconti giapponesi più antichi e popolari risalente al X secolo, il film ruota attorno alla figura di Kaguya, minuscola creatura dalle sembianze di una principessa ritrovata all’interno di una canna di bambù da Okina, un anziano tagliatore di bambù. Una volta arrivato a casa la piccola creatura si trasforma improvvisamente in una neonata davanti agli occhi di Okina e di sua moglie che decidono di tenerla e di allevarla come fosse figlia loro, scoprendo presto che Kaguya cresce con una rapidità davvero incredibile e sorprendente, tanto da essere soprannominata “Gemma di bambù” dai ragazzi del villaggio. Qualche tempo dopo Okina trova nel bosco, sempre all’interno di una canna di bambù, delle vesti preziose e regali insieme ad una considerevole quantità d’oro che lo convincono della natura divina della bimba. L’uomo decide di farle costruire un palazzo in città e di trasferirvisi in modo da introdurla alla vita di società, affinché possa conoscere pretendenti di un certo lignaggio. Per Kaguya, strappata dall’amata e semplice vita di montagna, è l’inizio di un percorso difficile e doloroso, segnato da incontri con uomini nobili e potenti ma arroganti e poveri di spirito.
La storia della principessa splendente, progetto inseguito a lungo da Takahata, richiese ben otto anni di lavorazione ed un incredibile sforzo produttivo (intorno ai cinque miliardi di yen) che purtroppo non fu premiato dal pubblico, nemmeno nel paese del Sol Levante dove le opere di Hayao Miyazaki, cofondatore insieme a lui dello Studio Ghibli, hanno quasi sempre registrato incassi stellari. Un destino triste e beffardo per quello che finì per essere l’ultimo lungo d’animazione di Takahata, venuto a mancare nel 2018.
Nel suo film testamentario il maestro giapponese adotta uno stile in parte già sperimentato nel precedente My Neighbors the Yamadas, altro titolo riportato in sala nel corso di questa estate da Lucky Red. Il tratto del disegno è semplice ed essenziale, i contorni sembrano fatti a carboncino mentre per i colori si fa ricorso agli acquerelli. Una scelta stilistica lontana dalla maggior parte dei lavori dello Studio Ghibli, in grado di conferire grande fluidità, dinamicità e plasticità alle immagini e di rendere al meglio i cambi d’umore della protagonista. A tal proposito è impossibile non citare l’incredibile scena della fuga – immaginaria – di Kaguya dal banchetto di nominazione, organizzato per festeggiare il suo ingresso in società, resa attraverso un brusco cambio del tratto di matita che diviene irrequieto e nervoso, a sottolineare il repentino cambio di stato d’animo della giovane principessa, sconvolta e rattristata dai commenti stupidi e volgari di alcuni uomini presenti alla festa.
L’incanto e la magia di un’antica fiaba emergono con forza dai disegni di Takahata, che descrive il passare delle stagioni con un tocco unico e sorprendente. La tavolozza cromatica, con i suoi colori intensi e luminosi ma al contempo lievi e delicati, rende al meglio l’arrivo della primavera, in uno scenario puro, semplice e incontaminato che fa da sfondo ai primi anni di vita della principessa splendente, costretta poi ad abbandonare la vita di montagna per quella di città, scandita da regole rigide e complesse. Istruita alle buone maniere, alla calligrafia e all’arte della musica, chiusa in una sorta di gabbia dorata dal padre adottivo che sogna per lei una vita da nobildonna, Kaguya si rinchiude in se stessa, diviene sempre più silenziosa e solitaria, avvinta e sacrificata ad una vita che non ha scelto. Nel frattempo la sua fama si estende, la sua bellezza diviene leggendaria e i pretendenti aumentano a dismisura, così come cresce il rimpianto e la nostalgia per la vita di un tempo, passata in compagnia dei ragazzi della montagna. Solo il meraviglioso spettacolo della natura, elemento da sempre ricorrente e caro allo Studio Ghibli, sinonimo di vita, gioia e serenità, può mitigare la tristezza della principessa che si ritrova suo malgrado ad essere circondata e desiderata da uomini ottusi, subdoli e lascivi. Un mondo a lei estraneo, lontano dal suo animo puro, nobile e dolente che anela ad una felicità perduta e ormai lontana. Nel finale, poetico e fiabesco, si raggiungono vette sublimi, esaltate dalle note soavi composte dal maestro Joe Hisaishi che alla sua prima e ultima collaborazione con Takahata realizza una partitura alquanto ispirata. Contraddistinto da immagini evocative di abbacinante bellezza e da un epilogo lirico e straziante come raramente capita di vedere nel cinema d’animazione degli ultimi anni, La storia della principessa è una fiaba al femminile tratteggiata con toccante e partecipe sensibilità da Isao Takahata, un prezioso lascito artistico di uno dei maestri indiscussi dell’animazione giapponese.
Sign In