Sign In

Lost Password

Sign In

CH foto4

La giusta distanza richiesta dal film di Yvan Attal.

Dopo la presentazione Fuori Concorso all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, L’accusa, il nuovo film di Yvan Attal tratto dal romanzo Les choses humaines di Karine Tuil, si appresta a essere distribuito nei nostri cinema dalla Movies Inspired a partire dal 24 febbraio.

Alexandre, brillante studente alla Stanford University, è il figlio di Jean Farel, un rinomato giornalista e conduttore televisivo, e della saggista Claire, celebre per il suo femminismo radicale. Di ritorno a Parigi per una breve vacanza conosce Mila, la figlia del nuovo compagno di sua madre. Dopo aver cenato insieme ai genitori i due giovani vanno a una festa a casa di amici di Alexandre. Il giorno dopo Mila denuncia il ragazzo per averla violentata, innescando un effetto domino che travolge le due famiglie e mette in moto una massiccia e roboante macchina mediatico-giudiziaria destinata a ripercuotersi a lungo nelle loro vite.

Il film di Attal presenta temi di scottante attualità affrontati in modo non banale, senza dover ricorrere a facili giustizialismi e scontati schematismi, per cercare di far riflettere lo spettatore, chiamato alla stregua di un giurato a immedesimarsi nei due giovani per cercare di comprendere i loro comportamenti. Alexandre e Mila, ovvero il potenziale carnefice e la presunta vittima, presentano le loro versioni dei fatti, mentono e si contraddicono più volte durante i lunghi e ripetuti interrogatori in questura, hanno un vissuto alle loro spalle che viene setacciato in modo spietato e certosino dai rispettivi avvocati in cerca di zone d’ombra e scheletri nell’armadio da usare contro di loro, ciascuno a vantaggio del proprio assistito, nel corso del processo. Entrambi espongono e presentano una loro verità, come fanno a loro volta i genitori di Alexandre, la madre convinta della sua innocenza nonostante le sue posizioni femministe e il suo legame con la ragazza e il padre, un uomo potente e influente con una vita sentimentale piuttosto scabrosa e controversa, che ben rappresenta le tossicità di una società patriarcale la quale, in epoca di social media si dimostra sempre più ipocrita, superficiale e insensibile. L’intervento dell’uomo a difesa del figlio durante il processo, teso a porre in risalto le zone grigie della vicenda e a invocare una sentenza equa per non distruggere la vita di un ragazzo a causa di venti minuti d’azione (quelli del presunto stupro) lascia inorriditi e ricorda da vicino, almeno a noi in Italia, il delirante video pubblicato da Beppe Grillo a sostegno del figlio accusato di violenza sessuale da una ragazza. Il film è costellato di scene di grande intensità e di forte impatto emotivo: oltre a quelle incentrate sull’esposizione e sulla ricostruzione dei fatti, è doveroso menzionare uno dei momenti più laconici e struggenti, il dialogo al bar tra Claire e il padre di Mila che si rivedono dopo diverso tempo in occasione del processo, con la loro relazione andata in frantumi a causa di quel che è avvenuto tra i loro figli. L’uomo e la donna sono consapevoli di amarsi ancora, ma sanno altrettanto bene che la rottura tra loro era inevitabile dopo quanto accaduto nella tragica notte che ha segnato le loro vite e quelle dei figli. Al regista francese, che ha affidato alla sua compagna, l’attrice Charlotte Gainsbourg, e al loro primogenito Ben Attal i ruoli di Claire e Alexandre, non interessa farsi portavoce di una visione univoca e manichea di una storia complessa e dolorosa in cui è difficile stabilire con assoluta certezza se vi sia stata una esplicita violenza sessuale. Quel che preme all’autore è di porre l’attenzione sulle storture e sulle contraddizioni della nostra società, dove gli abusi di potere, fisici e morali, sono all’ordine del giorno, avallati e sostenuti dalla cultura dello stupro e dalla totale mancanza di empatia e sensibilità che si respira sui vari canali social e, di conseguenza, nei rapporti interpersonali. L’accusa è un’opera tesa e avvincente, di solido impegno civile, con una sceneggiatura robusta, un ottimo cast che affianca ai già citati Gainsbourg e Attal la giovane esordiente Suzanne Jouannet e due interpreti di prima grandezza come Pierre Arditi e Mathieu Kassovitz, e una regia misurata capace di imprimere un ritmo serrato alle diverse parti che la compongono.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.