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Un’altra educazione sentimentale, o più probabilmente no.

Come in altri suoi lungometraggi – si pensi per esempio a lavori come Un été brûlant e La gelosia, entrambi interpretati da suo figlio Louis -, anche in Le Sel des Larmes Philippe Garrel pedina il protagonista maschile senza fargli sconti: Luc (Logann Antuofermo, perfettamente funzionale al ruolo nella sua bellezza un po’ banale) è un giovane falegname che lavora con il padre e che più che altro per soddisfare una vecchia aspirazione del genitore tenta l’esame alla scuola d’ebanista di Parigi. Il legame con il padre rimane per lui quello dominante nella sua vita malgrado le relazioni con le giovani donne che incontra sul suo cammino e al cui cospetto appare singolarmente acerbo e informe, incapace com’è di guardare al di là dell’urgenza del desiderio di seduzione. I 100 minuti del film sembrano allora tutti incentrati su un paradosso che è anche un malinconico equivoco: quello di un giovane che va a scuola, nella vita e nelle relazioni umane, eppure non apprende niente e rimane ancorato all’unico modello, quello paterno, di cui abbia coscienza.

La tentazione di liquidare una visione così schematica del rapporto tra gli uomini rappresentati dall’opaca monade padre-figlio e le donne (le tre ragazze con cui Luc intraprende una relazione sono molto diverse tra loro) come inaridita e teatrale – in linea con il metodo di lavoro di Garrel – trova confutazione e commento solo nelle rare, compassate e occasionalmente sapide notazioni del narratore fuori campo (e questo può apparire come un limite dell’opera); al regista preme in ogni caso stare “dentro” la storia per mostrare con equilibrio i sintomi dell’indifferenza sentimentale dell’elemento maschile: se ha gioco facile nell’osservare Luc che non ha troppe remore a soppiantare l’ingenua Geneviève incinta, lo sa anche cogliere però con precisione quando viene avviluppato dalla disinibizione sessuale e dalla deliberata confusione di ruoli e situazioni sentimentali a cui lo costringe l’infermiera Betsy, non per niente l’unica che lo spinga a incrinare la dipendenza dalla relazione con il padre (nella sequenza in cui quest’ultimo, dopo aver perso il treno, torna a bussare alla porta del giovane, che è però a letto con la fidanzata). E l’ulteriore tentativo di Luc di riprendere un’illusione di controllo andando a trovare Djemila, (quasi) sedotta all’inizio e poi abbandonata a metà film, si conclude con un’ennesima beffa dato che la ragazza è andata oltre il breve incontro con lui ed è visibilmente incinta.

Questo per dire che Garrel certo non si sogna di inseguire l’equazione matematica, semmai dimostra di adoperare sempre lo strumento di un’ironia quasi del tutto scondita, ancora più che in altre opere: e qui si potrebbe riconoscere un pizzico della vena di una delle sue migliori riuscite, La Naissance de l’amour (1993, in Italia visto solo su Tele+ e su Fuori Orario), nella pervicacia con cui mette in dubbio la possibilità di una qualsiasi educazione sentimentale, se non altro al di là e al di fuori di ogni ipoteca delle figure paterne. In questo senso il finale non finisce e anzi, tronco com’è, racchiude il potenziale di una nuova parabola tutta da scrivere: a 72 anni e dopo oltre 25 film, la conclusione di Garrel ancora non c’è.

voto_4

Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.