Il cinema della necessità di Sophie Deraspe.
Dopo la visione di Les Loups (aka: The Wolves) al Torino Film Festival dell’anno scorso (e in seguito anche in dvd), mi sento di dirlo senza timore: Sophie Deraspe è una regista straordinaria.
Questa 42enne del Quebec con tre lungometraggi all’attivo (non ho ancora visto il primo, Rechercher Victor Pellerin, del 2006) ed esperienze nel documentario (si vede) e in televisione, mi aveva già impressionato nel 2010, sempre al TFF, con Les Signes Vitaux, opera veramente hard e di eccezionale intensità, quasi incredibilmente uscita anche in Italia – sia pure in home video – con il titolo Un Soffio di Vita. Ora Les Loups è una conferma, direi perfino un’esaltante conferma. In questa storia, in questa vicenda ambientata su un’isola mentre i ghiacci dell’inverno cominciano lentamente a sciogliersi, c’è tutto il cinema di Deraspe. Che è fatto di necessità: che siano imposte dalla realtà circostante o da un’impellenza interiore, si tratta sempre e comunque di necessità.
A colpire profondamente in Les Loups sono la forza e la densità con cui si racconta una storia semplice. La ricerca di radici di una ragazza, disposta ad adattarsi ai rigori non soltanto atmosferici del luogo pur di conseguire il suo scopo, è descritta con uno stile piano e attento al realismo, ma senza farsene assorbire, senza gingillarsi nella rappresentazione della cruda brutalità della comunità ritratta. Deraspe non si fa distrarre, nulla nel suo film è concesso al compiacimento estetizzante, nemmeno al cospetto dei magnifici paesaggi naturali (il film è girato nell’arcipelago delle Isole della Maddalena, sempre nel Quebec). L’autrice insiste sui personaggi, sembra voler cavare l’impossibile dalla superficie, e dai loro volti duri e poco inclini all’umana comprensione sembra aspettarsi una rivelazione che non verrà facilmente. Lupi, certo, come nella metafora del titolo, e infatti vengono dipinti spesso nella loro natura di branco barbarico, pronti a spalleggiarsi e difendersi, tra rimozioni e diffidenze, tra rituali e ruvidezze. Eppure essi non rimangono insensibili alla presenza della ragazza estranea: Élie li sfida coi silenzi e gli sguardi, con la sua presenza discreta e ferma, senza paura, consapevole del suo diritto a sapere e a capire. Sono tutti personaggi ricchi di sfaccettature, multidimensionali, a tutto tondo, frutto di una sceneggiatura accurata e stratificata.
La regia è l’esatta traduzione delle intenzioni con cui la storia è declinata. Il pedinamento della protagonista procede sempre a una certa distanza, per piani medi e piani americani, adotta il primo piano soltanto in alcuni momenti, di solito i più intensi (al sottoscritto, per dire, fra le sequenze possibili piace particolarmente quella in interni nella quale Élie è al telefono con la madre: la ragazza è inquadrata frontalmente in primo piano, ma quando il tono della conversazione si fa troppo intimo e doloroso, Élie gira su se stessa nascondendo il viso alla camera, e l’attenzione sembra spostarsi ai dettagli, al collo, ai capelli, ai minimi gesti, mentre la voce dà quasi la sensazione di perdersi. Bellissimo). I rapporti con la comunità dei cacciatori di foche la vedono spesso di sfondo o, in momenti di conflitto, addirittura defilata ai bordi del quadro o in campo lungo. Una grammatica delle inquadrature chiara e precisa prima ancora che “semplice”, che lo spettatore finisce per assimilare inconsapevolmente e che rende sempre significative le immagini, anche all’ennesima visione, sebbene talvolta un ermetismo appena accennato ne veli l’immediata comprensione (un effetto che le musiche evocative di David Trescos enfatizzano con garbo e misura). E Deraspe non dà l’impressione di esaurirsi nemmeno quando il mistero della ragazza e di suo padre viene svelato: il dramma della mezz’ora finale – una situazione non particolarmente originale – viene superato in una chiusa più enigmatica, che lascia intendere un possibile rilancio della storia; e se sembra una coda non così necessaria come il resto del film, sarà solo perché c’è dell’altro che non vediamo o comprendiamo appieno. Non (ri)finisce, Deraspe, lascia aperti i giochi e non fa banalmente finire il film: e in questa incertezza, tanto umana quanto necessaria anch’essa, ci sono tutto lo splendore e il significato di Les Loups.
Sign In