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LIGHTYEAR – LA VERA STORIA DI BUZZ

LIGHTYEAR – LA VERA STORIA DI BUZZ

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Una space opera appassionante che si smarca da Toy Story.

A tre anni di distanza dal quarto e forse ultimo capitolo di Toy Story, la Pixar riporta sul grande schermo lo space ranger più amato e conosciuto dai bambini di mezzo mondo, l’inossidabile Buzz Lightyear. Stavolta però non si tratta di un giocattolo, ovvero del super accessoriato action figure di plastica che nel primo Toy Story conquistava il cuore di Andy a discapito del povero sceriffo Woody. In questa nuova avventura (che tra le altre cose vuole essere l’origin story di uno dei personaggi principali di Toy Story), diretta da Angus MacLane, storico animatore della Pixar già artefice di alcuni cortometraggi e di Alla ricerca di Dory assieme a Andrew Stanton, scopriamo subito che prima di diventare un giocattolo famoso Buzz Lightyear era l’eroe del film preferito da Andy. Non vi preoccupate, non si tratta di un temibile spoiler ma della didascalia che apre Lightyear, ovvero proprio il film preferito da quel bambino! Il regista e autore dello script assieme a Matthew Aldrich e Jason Headley risolve e sbriga subito in apertura, in modo talmente semplice e funzionale da avere un che di geniale, i legami con Toy Story, rispondendo implicitamente alle domande e alle curiosità che erano sorte e affiorate quando era stata annunciata la lavorazione del film. Per MacLane, appassionato da sempre di fantascienza (ha partecipato alla realizzazione di Wall-E e curato la regia di Burn-E, un divertente corto a esso legato), la ripresa del personaggio di Buzz Lightyear ha rappresentato un’occasione irripetibile per l’ideazione di una storia dinamica e avvincente ambientata nello spazio profondo e popolata da astronavi, robot e pianeti inospitali. È curioso come all’inizio il film presenti delle analogie (le prove di volo per il raggiungimento della velocità ipersonica) piuttosto evidenti con Top Gun: Maverick, titolo uscito al cinema in queste ultime settimane, e ancor più interessante il fatto che nella seconda parte decida di citare e omaggiare Interstellar di Christopher Nolan (i viaggi attraverso il tempo e lo spazio, il protagonista sempre uguale e identico a se stesso a differenza di chi gli sta attorno che invece vive la propria vita e invecchia). Una scelta piuttosto ambiziosa e soprattutto coraggiosa per un film rivolto a famiglie e bambini, con una trama – dove non mancano i colpi di scena – che si fa complessa e articolata senza rinunciare alla componente più avvincente e spettacolare. Elementi tipici di casa Pixar, uno degli studi d’animazione più celebri e acclamati a livello mondiale non solo per le innovazioni tecniche e tecnologiche che ha saputo apportare, ma anche per le tematiche insolite e originali a cui ci ha abituato nel corso degli anni. Quando la Pixar rischia e osa raramente sbaglia, come dimostrano i vari Wall-E, Up, Inside Out e Soul, titoli dalle tematiche profonde e stratificate che hanno saputo parlare agli adulti e arrivare al contempo a far breccia nel cuore dei bambini. Lightyear non è uno dei titoli che faranno la storia della Pixar, non raggiunge le vette toccate da altri film, è lo specchio del momento delicato che sta attraversando, ormai da qualche anno, lo studio d’animazione fondato in California alla metà degli anni ‘80, anche a causa del lungo processo di disneyficazione in corso da almeno tre lustri, da quando è stata acquisita dal colosso fondato da Walt Disney quasi un secolo fa. Fa comunque piacere ritrovare sul grande schermo, dopo alcuni film usciti direttamente su Disney+, quella stessa voglia di azzardare e rischiare, cercando di proporre qualcosa di diverso dal solito, nonostante il legame, come già detto piuttosto flebile e pretestuoso, con Toy Story, la saga simbolo della Pixar a cui deve gran parte delle sue fortune. Una origin story libera e svincolata dall’epopea a cui si ricollega a partire dal titolo, che può essere vista, compresa e goduta da tutti, anche da chi non ha mai visto e non conosce i quattro capitoli di Toy Story. Certo, alcuni rimandi e riferimenti sono evidenti, come la presenza in scena del minaccioso e imponente Zurg, il nemico per antonomasia di Buzz, ma non inficiano la visione dei neofiti mentre arricchiscono e sorprendono quella di chi conosce (o pensa di conoscere bene) il personaggio. Uno dei messaggi palesi e ricorrenti nel film è l’importanza del lavoro di squadra, la forza del gruppo unito e coeso in cui tutti possono dare il proprio contributo. Una lezione che cambierà il modo di vedere le cose e di affrontare la vita da parte di Buzz, dapprima convinto di essere il solo e unico eroe in grado di portare in salvo l’intera comunità che a causa di un suo errore si ritrova bloccata su un pianeta ostile e inospitale, per poi comprendere di avere bisogno – come tutti quanti – dell’aiuto degli altri per riuscire a portare a termine con successo la missione che gli è stata assegnata. Un percorso di crescita e maturazione che da eroe solitario lo vede trasformarsi in una persona consapevole dei propri limiti e della necessità del gruppo, perfino di quello più improbabile e male in arnese che ci possa essere. Il Buzz di Lightyear è molto diverso da quello simpaticamente stolido e fanfarone di Toy Story, ulteriore elemento che smarca e differenzia il film di MacLane da quelli della saga. Doveroso, in chiusura, menzionare Sox, il simpatico e irresistibile gatto robot che aiuta e accompagna Buzz nelle sue scorribande spaziali verso l’infinito… e oltre!

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.