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LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT

LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT

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Corri ragazzo laggiù, vola tra lampi di blu, corri in aiuto di tutta la gente… della capitale!

Dopo avere riscosso un clamoroso successo all’ultima edizione del Festival di Roma ed essere stato lodato dalla critica, Lo chiamavano Jeeg Robot arriva finalmente al cinema per affrontare la prova del nove, in cerca di un successo di pubblico che meriterebbe ampiamente.

Enzo Ceccotti abita in un anonimo palazzone a Tor Bella Monaca e sopravvive a se stesso compiendo piccoli furti. Un giorno, per sfuggire alla polizia, si tuffa nel Tevere e viene contaminato dai liquami tossici e radioattivi fuoriusciti da alcuni barili. Rientrato a casa mezzo morto, il giorno dopo si risveglia e si scopre diverso, dotato di una forza sovrumana che lo rende indistruttibile. Mentre cerca di usare i suoi nuovi super poteri sradicando bancomat e assaltando furgoni portavalori finisce nel mirino dello Zingaro, un malvivente di borgata che vorrebbe fare il colpo della vita e svoltare per sempre. L’incontro casuale con Alessia, una vicina di casa segnata da un difficile passato fatto di abusi e violenze, sarà determinante per Enzo che piano piano si riaprirà alla vita e ai sentimenti acquisendo nuova consapevolezza di sé e dei suoi poteri.

Un film italiano sui supereroi, uno dei primi tentavi significativi della nostra cinematografia rivolto ad un pubblico adulto dopo Il ragazzo invisibile, l’esperimento di Salvatores indirizzato principalmente agli spettatori più giovani. Lavorando con un budget non certo stellare e limitando al massimo gli effetti digitali il regista Gabriele Mainetti, al suo esordio nel lungometraggio ma con alle spalle quattro corti interessanti e originali, realizza un’opera coraggiosa e vitale, capace di sorprendere e perfino di entusiasmare. Un film quasi indipendente, prodotto dalla Goon Films in collaborazione con Rai Cinema, che brilla di luce propria e si distingue nettamente dalla stragrande maggioranza della recente produzione di casa nostra. Un film di genere coerente e maturo, che non ha paura di sporcarsi e di lavorare sugli archetipi del genere di riferimento contaminandoli con la commedia e il dramma sociale. La storia, immersa in atmosfere cupe e degradate, è fortemente contestualizzata e radicata nel mondo delle borgate e delle periferie romane con un lavoro sul linguaggio interessante e mai banale, diverso dalle solite e immediate inflessioni dialettali che imperversano in molte commedie italiane ambientate nella città eterna. La cornice supereroica serve a Mainetti per affrontare, in parallelo alla storia principale, questioni spinose, tensioni sociali e drammi individuali come già era accaduto in Basette e soprattutto in Tiger Boy, i suoi ultimi due cortometraggi che lasciavano già intravedere un talento non comune e fuori dagli schemi, oltre che una sconfinata passione per manga e anime (se nel film si omaggia Jeeg Robot lì si citavano, rispettivamente, Lupin III e Tiger Man). Merito anche di un soggetto, firmato da Nicola Guaglianone che aveva già curato le sceneggiature di tutti e quattro i corti di Mainetti, e di uno script – che vede la collaborazione del fumettista Menotti – accorto e accurato. Anche il cast è ben assemblato, con le facce adatte e i corpi giusti per i vari ruoli da ricoprire. Nei panni del protagonista troviamo Claudio Santamaria, encomiabile e generoso nella sua adesione al ruolo per cui ha dovuto mettere su un considerevole peso. Solo, anaffettivo, con uno sguardo perennemente spento o semi dormiente, Enzo ha rinunciato da tempo a vivere, almeno fino a quando conosce Alessia, una ragazza che in seguito a diversi traumi si è rifugiata in un universo tutto suo, preso a prestito da quello di Jeeg Robot d’Acciaio, lontano dal mondo reale. L’unica donna in scena è interpretata dall’esordiente Ilenia Pastorelli, capace di infondere grande dolcezza e tenerezza al suo personaggio, anima fragile e stralunata. Il vero mattatore però è da ricercare altrove, ovvero nel cattivo impersonato da Luca Marinelli, uno degli attori italiani più talentuosi e sorprendenti emersi tra le nuove leve del nostro cinema. Il suo villain istrionico, debordante ed eccessivo, con uno sguardo luccicante di follia ed un modo di fare e di porsi perennemente sopra le righe, è talmente trascinante e irresistibile da rubare la scena a più riprese ai suoi compagni di set. Lo Zingaro, questo il nome del suo personaggio, ironico, cartoonesco e teatrale, non teme certo il confronto coi vari super cattivi che affollano i cinecomics americani.

Ben vengano in futuro titoli come Lo chiamavano Jeeg Robot per dare una scossa e nuova linfa vitale al nostro cinema, spesso pigro e restio nell’intraprendere strade nuove, senz’altro impervie e piene d’insidie, ma che al contempo possono riservare delle piacevolissime sorprese se affrontate con piglio, audacia e consapevolezza.

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Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.