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Il nuovo film di Paolo Sorrentino: troppo o troppo poco?

Paolo Sorrentino è uno di quei registi per cui la critica non può fermarsi al bello o brutto: tante sono le implicazioni del suo cinema, tanto fondamentale è il suo sguardo. Aggiungiamo poi che Loro 1, il suo film n. 8 anzi 7 & ½ (perché Loro 2, la seconda parte, esce a distanza di un paio di settimane) parla di un personaggio centrale nel dibattito politico e culturale dell’Italia degli ultimi vent’anni: e l’abisso che si spalanca diventa buio.

Intanto, Sorrentino butta subito le mani avanti: il film si apre con una dichiarazione d’intenti – legali – assicurando che quello che si vedrà, e i personaggi che seguiranno, sono sì reali ma frutto di una rielaborazione artistica. E magari ha fatto anche bene, visto l’attesa creatasi per un’opera che, considerando il soggetto, è stata a priori esclusa dal red carpet di Cannes.

Eppure va detto subito, così ci leviamo il pensiero: Loro 1 non sarà brutto, ma di sicuro è noioso.

È la prolissa, a tratti stanca, introduzione al ritratto che Sorrentino vuole fare di Silvio, tutta giocata sull’ossimoro “tutto documentato, tutto reale”,citazione da Manganelli che riesce perfettamente a restituire la schizofrenia della corte dei miracoli che gira(va?) intorno a Berlusconi a cavallo fra gli anni ’90 e il Nuovo Millennio. Una foll(i)a di cocaina, sesso e mal costume: che gira a ritmo forsennato intorno al suo motore immobile e anche invisibile, perché il Silvio di Servillo appare, in questo primo capitolo, solo negli ultimi 20 minuti. Diventando subito la cosa migliore del film, anzi la sola cosa riuscita: perché ha incredibilmente una forza centripeta e centrifuga insieme, perché l’icona Berlusconi si allontana quanto più si avvicina allo stuolo di licenziosità morale che gli si trascina dietro, perché il suo peso etico è contrario e uguale alla sua influenza sul costume e sul modus vivendi italiota.

Addirittura, Loro 1 si spinge ancora più in là di quanto il “cinema su Berlusconi” abbia mai fatto: mettendo in scena, a livello narrativo ma anche teoretico, il duetto fra Silvio e l’Italia, un covo di immorali creato e avallato proprio da lui, ma all’interno del quale solo lui, Berlusconi, rappresenta un sospiro di sollievo. Sorrentino questo lo sa bene: e lungi dal creare un mostro, come invece fece con Andreotti, inscena un personaggio clownesco, con la complicità di un Toni Servillo realmente stratosferico (pur con un’interpretazione calligrafica sfugge al bozzettismo e offre una prova maiuscola), un protagonista sfuggente e ammaliante che tenta di costruire la forza di un’assenza. Ci riesce anche bene, per le prime sequenze: ma poi tutto si annacqua in uno stanco inseguimento ad un “Lui” che perde potenza, tutto si dissolve in un film che sperpera buona parte della sua forza visiva a raccontarci di puttane e debosciati, lasciando cioè intravedere la nostra storia – in cui spicca il mellifluo Sandro Bondi dipinto di punta da Bentivoglio, sempre eccellente, e certo migliore del Tarantini di Scamarcio – ma sprecando potenziale, infilando nell’ora e mezza abbondante del film o troppo o troppo poco. Perché non dimentichiamo che Loro 1 è un film di Sorrentino: ormai è anche noioso parlare dei suoi vezzi a metà strada fra l’onirico e il surreale e costruiti con simmetria matematica, così noioso che non fa neanche più tanto effetto vederli.

Prendiamo la primissima sequenza: che è bellissima e straordinaria per forza d’impatto.

Ma che nulla leva e nulla aggiunge al valore etico e/o cinestesico del film, si dimentica in fretta e viene seppellita da tutto quello che segue. Sorrentino mette tutto quello che può in Loro 1 (anche un cast folle, ricchissimo e ottimo, Elena Sofia Ricci compresa), ma se avesse avuto a disposizione le dieci ore di The Young Pope avrebbe potuto sviluppare meglio le troppe figure che si accalcano in scena; se invece avesse voluto concentrarsi sul suo film e solo su quello, avrebbe potuto unire 1 e 2 e girare una sola opera più forte e potente, meno pletorica. Sembra insomma girare a vuoto, mentre Scamarcio con il suo regista insegue lo Sceicco Bianco di Fellini, citando proprio 8 e ½, mentre Servillo monopolizza la scena e fa passare in secondo piano anche gli scenari sorrentiniani. Peccato allora che sia proprio Servillo a destare l’attenzione ma troppo tardi: Loro 1 è un film abortito, che quando mette le ali se le brucia subito, spegnendosi; peccato che questa volta il fellinismo del buon Paolo non sappia sostenere la descrizione della demenza dell’edonismo contemporaneo, tratto fondante della sua poetica.

Insomma, un film schizofrenico come si diceva all’inizio, e come apertamente si dichiara: ma sbilanciato, diseguale, dislessico nel non saper bene usare e anzi dosare l’immagine di Silvio/Servillo meglio fra i due film; e che stavolta crolla sotto la smisurata ambizione del suo autore.

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Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.