Un mostro fin troppo umano.
Che sapore ha una promessa disattesa? Esattamente quello del dittico Loro, di cui si può parlare a ragion veduta dopo l’arrivo in sala del secondo capitolo. Con la certezza che vederli l’uno dopo l’altro darebbe un senso più compiuto a tutta l’opera di Sorrentino: che si conferma, se ce ne fosse bisogno, sulla solitudine dei potenti, sulle ombre lunghe dietro i grandi. Che siano calciatori, attori, senatori, giornalisti o città; o addirittura chi potrebbe incarnare tutti questi messi insieme. Perché il ritratto che Sorrentino ci consegna di Berlusconi è tutto fuorché luciferino, come poteva essere lecito aspettarsi e come era uscito Andreotti ne Il Divo, pietra di paragone inevitabile nel corpus del regista: e invece il film prende in contropiede, e restituisce le luci e le ombre di un uomo che alla fine non è da disprezzare, ma solo da compatire.
Complice l’incredibile statura d’artista di Toni Servillo, veramente gigantesco (con un’interpretazione che fa il paio con quella pietra miliare della recitazione che è Jeremy Irons in Dead Ringers di Cronenberg), Loro 2 non è – altro contropiede – il racconto proprio di “loro due”, Silvio e Veronica, lasciati a margine e come chiosa; bensì un lungo racconto a cerchi concentrici che gira intorno al volto ora tumefatto, ora mascherato, ora distrutto, di un uomo che ha avuto tutto e si ritrova con niente, di un moderno Alessandro Magno che arrivato davanti all’oceano si chiede cosa ci sia da conquistare al di là del mare, di un Prometeo rinato che pensava di regalare il fuoco agli uomini e invece in quel fuoco sta bruciando per una sua incomprensibile dannazione, un nuovo Ozymandias, re dei re, che giace ai piedi della sua statua monumentum aere perennum distrutta dallo scorrere inesorabile del tempo, della vita.
“Il tuo alito mi ricorda quello di mio nonno: non buono, neanche cattivo; ma vecchio”, è la desolante risposta di una ragazzina trofeo, l’ennesima, che non si fa conquistare ma mette il protagonista di fronte alla sua mortalità; salvo poi risolverla con una boutade (che d’altronde è perfettamente in linea con il Berlusconi reale, quello sì bigger than life), mentre affranto si mostra in tutto il suo dolore, come la balena bianca inseguita da tutti e a tutti sfuggita, ma che niente può contro se stessa. Raggiunto dalla sua stessa ombra e da quella messa al buio, all’angolo, il Berlusconi di Sorrentino è brillante e caustico, ma anche subdolo e furioso, pericoloso e ingombrante, eppure alla fine soffre come tutti gli uomini.
Anche se pesano un po’ alcune leziosità di troppi finali, il didascalismo del terremoto a L’Aquila coincidente con l’ennesima investitura e il confronto finale tra marito e moglie in un battibecco che sa troppo di dialogo a tema; Loro 2 si risolve come una ferita aperta su cui si sparge sale, mostrando la perfezione architettonica del regista campano e delle sue costruzioni. Il film, preso per intero, si apre infatti con il circo volgare e ingordo delle feste popolate da nani e puttane; prosegue con Berlusconi solo nella sua villa; continua con Berlusconi alle feste, si chiude con Berlusconi solo. Circolare, preciso e matematico, Loro (1 & 2) è al servizio della rappresentazione proteiforme di un mostro fin troppo umano: Sorrentino insegue le ombre morali senza rinunciare a mettere sotto i riflettori le super capacità di quello che in fondo in fondo era e rimane un venditore sopraffino. E mentre si avvicina il confronto con Veronica, Loro 2 mette a frutto i segnali e le metafore: Servillo rivisita Pirandello e le maschere, i personaggi si moltiplicano in un gioco di specchi vertiginoso con la realtà e vero e falso si confondono restituendo solo la magia e la poesia del puro cinema. E’ proprio in questo momento sublime di fusione (in realtà ce ne sono molti: le serenate di Silvio, la telefonata del venditore di Arcore, il confronto con Ennio Doris, il corpo nudo di Veronica in ombra e, più in là, un marito vicino e lontano…) che Sorrentino mostra il lato meno esposto del suo cinema, quello che è meno evidente eppure quello che lo fonda e lo rende unico: lo strumento del ridicolo, quella forza sottile e prepotente che deforma tutto fino a renderlo risibile, per poi inserirci squarci laceranti di dolorosa realtà e dimostrare come l’assurdo, nel nostro mondo, sia l’unica verità. È la farsa di Loro 1 che trova compimento nella tragedia di Loro 2, quando il sentimento predominante diventa la malinconia: se nel primo tempo il circo scostumato era lo sfarzo del Regno, in Loro 2 restano solo le macerie (reali e metaforiche) a testimoniare la decadenza dell’Impero. Dove il venditore e imprenditore liberale ha pagato il dazio per essere – per averlo tenacemente voluto – diventato un tiranno despota e oscuro, ed è rimasto un 70enne solo e sconsolato. Ripensando agli amori di ieri come un sogno svanito prima dell’alba, e agli errori da cui non si fa più in tempo ad imparare: e tutto sa di metafora. Perché Loro, alla fine, siamo stati (anche) noi.
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