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Il coraggio di amare.

In concorso all’ultima edizione del festival di Cannes arriva sui nostri schermi Loving, il quinto lungometraggio scritto e diretto da Jeff Nichols, uno degli autori di punta del cinema americano contemporaneo. Tratto da una storia vera, già al centro del documentario The Loving Story realizzato nel 2011 da Nancy Buirski, quella dei coniugi Loving, arrestati alla fine degli anni ’50 per il solo fatto di essere sposati. A causa del Racial Integrity Act, documento del 1924 che proibiva i matrimoni interrazziali, i Loving (bianco lui, nera lei) furono costretti dalle autorità della Virginia ad abbandonare lo Stato e i loro cari per evitare la condanna ad un anno di reclusione, a patto di non farvi ritorno per i successivi 25 anni. Richard e Mildred, questi i loro nomi, si erano sposati da poco a Washington, erano in attesa del loro primo figlio e avevano acquistato un piccolo terreno dove poter costruire la propria casa. Richard e Mildred si amavano molto, erano due persone semplici, trasparenti e genuine che chiedevano solo di poter vivere in pace e serenità. Grazie all’intervento della Lega per i diritti civili, in seguito ad una lettera di Mildred a Robert Kennedy, nel 1967 la Corte Suprema degli Stati Uniti deliberò sul Caso Loving contro la Virginia, dichiarando incostituzionale il Racial Integrity Act e ponendo fine alle restrizioni legali relative ai matrimoni interrazziali (termine orrendo e osceno giacché la razza umana è una e una soltanto).
Ha un andamento piano e regolare il nuovo film di Jeff Nichols, che decide di mettersi al servizio della storia e dei suoi protagonisti rinunciando quasi completamente a vezzi e pretese autoriali. Semplice e lineare, lontano da eccessi e forzature, coraggiosamente asciutto e privo di scene madri. Il regista, nato in Arkansas nel 1978, nel portare sul grande schermo una tappa fondamentale nella storia dei diritti civili americani opta per un approccio intimo e trattenuto, anteponendo i sentimenti e gli stati d’animo dei protagonisti alle tematiche d’impegno civile. Il razzismo è in secondo piano e di fatto emerge soprattutto nelle sedi istituzionali, in tribunale e negli uffici di polizia. I Loving, timidi e riservati, non combattono una battaglia civile, sono come frastornati, confusi e imbarazzati per il clamore mediatico che si solleva intorno a loro. Ciò che reclamano per anni è il loro diritto ad amarsi e a vivere in pace a casa loro e con i propri figli. Nichols non calca la mano, non forza la narrazione, si mantiene vicino a Richard e Mildred evitando di mettersi in mostra, scegliendo quasi di nascondersi, di fare un passo indietro. Forse è eccessivamente controllato e misurato, come i suoi protagonisti, ben interpretati da Ruth Negga (candidata all’Oscar come miglior attrice protagonista) e Joel Edgerton, lontano da autorialismi che sarebbero risultati inopportuni e fuori luogo dato l’alto e nobile messaggio contenuto nella storia che mette in scena e che seguiamo con interesse e partecipazione fino al suo epilogo.
Piccolo ruolo per Michael Shannon, attore feticcio del regista americano che lo ha voluto in tutti i suoi film, nei panni del fotografo chiamato a realizzare un servizio fotografico sui Loving per la rivista Life.
Dopo Midnight Special, il controverso e non del tutto riuscito omaggio alla fantascienza “spielberghiana” a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 (ancora inedito nelle nostre sale), Nichols con Loving (vero e proprio nomen omen) prosegue il suo viaggio attraverso la provincia americana, un percorso caratterizzato da un profondo umanesimo e quasi sempre focalizzato sui più deboli, sugli ultimi, sulle persone che cercano di portare avanti la loro vita tra sofferenze e avversità.
È giusto sottolineare che rispetto alle sue vette artistiche rappresentate da Take Shelter, secondo lavoro dietro la macchina da presa che lo ha lanciato e imposto alla ribalta internazionale e Mud, classico e intenso romanzo di formazione, Loving risulta meno ispirato e riuscito ma, come si è detto, non privo di qualità. Non resta che aspettare e vedere come si evolverà e quali strade prenderà nei prossimi anni il cinema di Nichols, uno dei pochi tra i nuovi autori americani da seguire con interesse e curiosità.

voto_3

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.