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MEMORIE DI UN ASSASSINO

MEMORIE DI UN ASSASSINO

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I miracoli di Bong Joon-ho.

Che Bong Joon-ho abbia un talento smisurato lo andiamo dicendo da almeno tre lustri, ovvero dalla visione – con qualche anno di ritardo – di Memorie di un assassino, il suo secondo lungometraggio uscito nel 2003 che lo ha fatto conoscere a livello internazionale, compresa l’Italia che lo ospitò in Concorso al Torino Film Festival dove vinse un paio di riconoscimenti, il Premio Holden per la sceneggiatura e quello del pubblico. Che il cineasta sudcoreano fosse in grado di fare miracoli lo abbiamo scoperto solo in questi ultimi giorni, dopo il trionfo di Parasite agli Academy Awards che lo hanno premiato non solo per il miglior film internazionale ma anche per la regia, la sceneggiatura originale e soprattutto per il miglior film. Un evento destinato a entrare nella storia del cinema, dal momento che si tratta della prima volta in assoluto in cui un film in lingua non inglese ottiene la statuetta più ambita e prestigiosa, quella per il miglior lungometraggio. Ricordiamo che Parasite, primo film coreano a vincere un Oscar (anzi quattro), aveva intrapreso la sua marcia trionfale al Festival di Cannes dove aveva vinto la Palma d’oro. Tra i miracoli “minori” ci sono la buona accoglienza e un discreto successo di pubblico in Italia, dove è da poco uscito per la seconda volta in sala dopo un primo passaggio a inizio novembre, e la decisione da parte di Academy Two di far uscire al cinema – con 17 anni di ritardo – Memorie di un assassino, che in Italia finora era circolato solo a qualche festival, uscendo poi direttamente in dvd nel 2007.

Tratto dal romanzo Come and See Me di Kim Kwang-rim, ispirato a una storia vera accaduta in Corea del Sud a metà degli anni ’80 durante il regime militare, Memorie di un assassino (clamoroso successo di pubblico in patria nel 2003) è la cruda e impietosa fotografia di un paese allo sbando, col popolo lasciato a se stesso, abbandonato dalle istituzioni che sanno solo reprimere e sedare con la violenza le manifestazioni di protesta. Una fotografia che rispecchia la visione pessimistica dell’animo umano che caratterizza da sempre il cinema di Bong Joon-ho.

Nel 1986 a Hwaseong, piccolo paese di campagna nella provincia di Gyeonggi, viene trovato il cadavere di una giovane donna brutalmente violentata e assassinata. Durante la prima fase di indagini la polizia locale si dimostra pigra, inetta e impreparata, più preoccupata di cercare un capro espiatorio a cui addossare il crimine che il vero responsabile.  Un corpo di polizia violento e incapace, con pochi mezzi a disposizione e con tecniche investigative inadeguate e obsolete, percepito dalla popolazione come una minaccia (a causa del clima aggressivo e repressivo che caratterizzava la Corea del Sud durante gli anni del regime militare) e più attento al rispetto del coprifuoco che alle reali necessità degli abitanti.  A causa del susseguirsi degli omicidi, un ispettore serio e preparato arriva da Seoul per cercare di individuare il colpevole, passato poi alla storia come il primo serial killer coreano, attivo tra il 1986 e il 1991(1).

Bong Joon-ho al suo secondo film (2) dimostrava già di essere un autore di primissimo piano, capace di dar vita a una messa in scena efficace e ricercata, di essere attento sia allo scavo psicologico dei personaggi principali che alla costruzione della suspense e della tensione, in un crescendo narrativo magistrale (3) e inesorabile che produce un epilogo intenso e dolente e un finale beffardo e indimenticabile, con lo sguardo in macchina – smarrito e attonito – dell’ex poliziotto interpretato da Song Kang-ho che non può non coincidere col nostro.

(1) Per la cronaca il killer non venne trovato ai tempi. Un omicida rimasto impunito come i crimini e le violenze compiute in quegli stessi anni dal regime militare. Solo qualche mese fa la polizia di Gyeonngi ha reso noto di aver identificato l’uomo che ha commesso quei crimini circa trent’anni fa. I sospetti ricadono su Lee Chun-jae, che sarebbe responsabile dei dieci stupri e omicidi compiuti dal killer. La polizia ha trovato tracce di DNA sugli slip di una delle vittime, il che collegherebbe l’uomo ad almeno tre omicidi. Le prove contro Lee Chun-jae non bastano per farlo processare per quegli omicidi, a causa del troppo tempo trascorso. Fortunatamente il sospettato si trova in carcere dal 1994 per aver stuprato e ucciso la cognata con modalità simili a quelle del serial killer.

(2) Il primo, Barking Dogs Never Bite, è tuttora inedito in Italia. Una commedia folgorante e atipica che faceva già intravedere in nuce l’incredibile talento di Bong.

(3) Per la gestione magistrale della tensione e della suspense si pensi alla bella scena notturna con l’omicida nascosto tra gli alberi che osserva una donna camminare lungo una strada isolata fino a quando incrocia una ragazza. In quell’istante la macchina da presa si sposta e ondeggia più volte tra le due donne, fino a scegliere di seguire e pedinare la giovane ragazza che sarà la nuova vittima del killer. Una breve soggettiva da brividi che pone l’attenzione sul fato, sul caso che determina l’assassinio di una donna e la conseguente salvezza di un’altra.

voto_5

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.