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MID90S

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Un salto (sullo skate) negli anni ’90.

Che Jonah Hill non fosse soltanto il gran talento comico scoperto e lanciato da Judd Apatow nei primi anni del nuovo millennio, lo avevamo già intuito da un po’, precisamente da quando lo abbiamo visto recitare in sottrazione, volutamente sottotono, in L’arte di vincere di Bennett Miller (Moneyball, 2011). Da allora l’attore americano, nato a Los Angeles nel 1983, ha proseguito la sua brillante carriera lasciando il segno in diverse commedie e cimentandosi anche in veste di soggettista in 21 Jump Street e nel relativo sequel da lui interpretato al fianco di Channing Tatum. Il suo percorso artistico è andato via via in crescendo, il suo nome è comparso nel cast di film diretti da autori del calibro di Quentin Tarantino, Martin Scorsese (fenomenale la sua performance in The Wolf of Wall Street), i fratelli Coen e Gus Van Sant. A coronare questa crescita costante e inarrestabile arriva Mid90s, la sua prima prova dietro la macchina da presa.

Presentato a settembre a Toronto e all’ultima edizione della Berlinale nella sezione Panorama, il film è ambientato a Los Angeles alla metà degli anni ’90, come esplicato fin dal titolo. Il tredicenne Stevie vive con la giovane madre e col fratello maggiore che non perde occasione per malmenarlo. Un giorno in un negozio per skaters conosce un gruppo di ragazzi più grandi di lui. Ben presto ne diventa la mascotte, parte integrante delle loro scorribande in giro per la città a bordo degli inseparabili skateboard. Stevie inizia a condividerne anche gli eccessi, il fumo, l’alcol, le droghe leggere, i primi approcci con le ragazze, le acrobazie più spericolate sulle due ruote che gli fruttano le prime “ferite di guerra”, nonché il rispetto e l’amicizia del resto del gruppo. Stevie cresce alla svelta, prosegue il rapporto conflittuale e burrascoso col fratello e con la madre, sempre più preoccupata nel vederlo così cambiato e attratto dagli eccessi dei ragazzi più grandi.

Mid90s è un delicato e ispirato coming of age, diretto con mano sicura da Hill, che dimostra grande maturità non solo in chiave registica ma anche in fase di scrittura (il soggetto è suo, in parte autobiografico dal momento che è nato e cresciuto a L.A. ed era adolescente proprio in quegli anni). Per questo sorprendente debutto alla regia si cala alla perfezione in un decennio, i Novanta, in cui è cresciuto e si è formato, senza farsi tentare troppo dall’effetto nostalgia, come invece accade spesso nelle miriadi di titoli ambientati negli anni ’80. Il suo approccio al decennio e all’ultima generazione venuta su prima dell’era digitale è rispettoso e filologico, quasi documentaristico grazie alla scelta di girare in pellicola (16 mm) in formato 4:3 per restituire sullo schermo quell’effetto un po’ sgranato tipico di molti film del periodo. È innegabile la bravura di Hill nel restituire e riprodurre la cultura di una L.A. popolata da giovani skaters, così come la sicurezza con cui dirige i giovani interpreti, molti dei quali all’esordio sul grande schermo. Il suo è uno sguardo diretto e autentico, partecipe e empatico, mai distante o moralista. Che colpiscono in positivo ci sono la spontaneità e la naturalezza con cui vengono raffigurate l’amicizia tra i ragazzi, le loro dinamiche interne e il senso d’appartenenza a un gruppo a cui ancorarsi per evadere da realtà familiari e domestiche difficili e controverse. Sbalorditiva la facilità con cui Hill tratteggia e dipinge i mutevoli stati d’animo – caratteristici dell’adolescenza – del giovane protagonista, interpretato dal bravo e talentuoso Sunny Suljic, capace di passare con estrema velocità e disinvoltura dall’entusiasmo e dall’esaltazione alla disperazione  e allo sconforto.

Chi è cresciuto negli anni ’90 non faticherà a riconoscere i vari riferimenti alla cultura giovanile di allora, dalla prima Playstation al Nintendo, da Street Fighter II alle Tartarughe Ninja, dal vestiario alle innumerevoli canzoni della colonna sonora firmate da gruppi come Nirvana, Cypress Hill, Misfits e Wu-Tang Clan a cui si aggiungono le note – intime, profonde e preziose – composte per l’occasione dal duo formato da Trent Reznor e Atticus Ross, autori di quattro brani strumentali che si sposano alla perfezione con le immagini del film.

Dopo questo bell’esordio registico non resta che attendere con fiducia e curiosità una auspicabile seconda prova dietro la mdp di Jonah Hill, sperando che continui a crescere e a sorprenderci.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.