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MISSION: IMPOSSIBLE – FALLOUT

MISSION: IMPOSSIBLE – FALLOUT

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La sesta impossibile missione.

Ammetto senza imbarazzo (dovrei averne?) di non essere mai stato un grande fan della saga. E dunque? Dunque, questo non significa nulla, perché i film li ho visti tutti con interesse lo stesso, e sostanzialmente in tempo reale, a partire dal capostipite di De Palma (sopravvalutato in quanto di De Palma, ma è uno dei film peggiori del regista). Perché quello di Mission: Impossible è un cinema che, comunque lo si prenda, vuole essere ammirato prima che si autodistrugga esattamente 5 secondi dopo, come i messaggi che chiedono di imbarcarsi per una nuova missione; e in cui le medesime missioni vanno accettate o lasciate subito, come fa l’agente Hunt e come deve fare lo spettatore. Se poi – dopo che hanno accettato il gioco – l’uno o l’altro non ci credono più, fa lo stesso, ormai si va fino in fondo. Sbavature? Tante, a partire da certi eccessi di protagonismo della star-demiurgo Tom Cruise. Senso di urgenza? Niente o quasi niente che regga a una benché minima analisi. Sequenze memorabili? Qualcuna, anche se non in tutti i film. Ma allora, se c’è davvero così poco, vuol dire che per tenerci lì, per inchiodarci ancora, ci deve essere per forza qualcos’altro. Azzardiamo.

Tornare periodicamente a un franchise che affonda nella coazione a ripetere e nelle reiterazioni della formula può avere, a mio parere, due motivi. Uno che potremmo considerare nostalgico o persino reazionario, avente a oggetto il desiderio e il piacere di ritrovare tutto identico a come l’abbiamo lasciato: Cruise eterno ragazzo indenne al trascorrere del tempo, il mondo post-blocchi come luogo pericoloso esposto alle minacce di tanti pazzi terroristi (e di ex spie finite nel temibile e ambiguo Sindacato), messinscene che reggono incredibilmente e maschere che cadono inopinatamente e sempre a sensazione, azione e stunt che riempiono le stasi e quasi “comprimono” il tempo, ponendosi come argine alla sua scansione (spesso è arduo capire quando una sequenza è davvero finita: si veda il lungo inseguimento per i boulevard e le strade parigine, non di rado contromano e tale che potrebbero sogghignare anche i Friedkin e i Frankenheimer). L’altro motivo ha un sapore più progressista che sintetizzerei nella curiosità di vedere apparire la differenza. Trovare infine il punto di rottura, o almeno di svolta, in cui anche l’imperterrito protagonista e i suoi compagni di avventura denotano un cedimento, una crepa nel perfetto cesello di una macchina tirata a lucido e sempre uguale a se stessa. Più prosaicamente: una ruga sul volto dell’agente Hunt. Forse i due significati possono essere complementari. E addirittura trovare un luogo d’equilibrio nel tentativo dello script (dello stesso McQuarrie) di portare avanti qualche linea narrativa dai precedenti capitoli, su tutte la ricomparsa della moglie di Hunt, Julia (torna Michelle Monaghan), accanto al nuovo flirt, Ilsa (la confermatissima Rebecca Ferguson). Ma mettere in luce queste tendenze del pubblico e certe caratteristiche del prodotto non basta, credo, a dire perché Mission: Impossible – Fallout sia un film che merita quantomeno una benevola approvazione. Allora mettiamola così: se la lealtà dell’agente Hunt è stata messa in dubbio molte volte nel corso dei sei film, questa è la prima volta che l’alfiere dell’IMF impersona a partire dalla festa e quasi fino alla fine un vero fantasma, l’indecidibile e forse del tutto fittizio John Lark (questo anche se il deuteragonista Walker a un certo punto getta la maschera e si trasforma in qualcos’altro, che però non è chiarito fino alle estreme conseguenze). Alla sagra interminabile delle scatole cinesi e del McGuffin, il fondo è inconoscibile. O inesistente. E se non basta ancora come spunto, allora vi rimandiamo alla sequenza degli elicotteri; e insomma, quella fatevela bastare.

voto_4

 

Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.