Cercasi Virzì disperatamente.
Roma, estate del 1990. Sono appena iniziati i mondiali di calcio, la nazionale italiana è tra le favorite e ha dalla sua il vantaggio di giocare in casa. Luciano e Antonio, due giovani sceneggiatori in erba appena arrivati in città per partecipare al Premio Solinas, conoscono Eugenia, la terza finalista del Concorso. Per i tre giovani di belle speranze è l’inizio di un’amicizia e di un’estate fatta di sogni e delusioni in cui scopriranno che il mondo del cinema è assai diverso da come se lo erano immaginato.
Da convinto estimatore del cinema di Paolo Virzì, uno dei pochi registi di casa nostra che ha saputo portare avanti – rielaborandola e aggiornandola ai tempi nostri – la lezione dei grandi autori della commedia all’italiana, dispiace ammettere che non sta attraversando una fase artistica felice e fortunata. Dopo la parentesi interlocutoria di Ella & John, trasferta americana che pur avendo dalla sua due interpreti maiuscoli come Helen Mirren e Donald Sutherland difettava in personalità e originalità, con Notti Magiche l’autore livornese realizza un film in parte autobiografico che a conti fatti è il punto più basso della sua carriera da regista. Una delle cose che stupisce maggiormente in negativo risiede nella scelta, abbastanza infelice, dei tre giovani protagonisti, incapaci di dare spessore e credibilità ai propri personaggi, anche a causa di una sceneggiatura (scritta dal regista insieme a Francesco Piccolo e Francesca Archibugi) priva di mordente e incisività. Se Irene Vetere nei panni di Eugenia risulta la più autentica dei tre, a stonare e infastidire più di tutti è l’esordiente Giovanni Toscano, sempre e costantemente sopra le righe nel ruolo di Luciano, più che un personaggio uno stereotipo fasullo e inflazionato, una macchietta stucchevole e poco convincente. A salvarsi dal naufragio generale (e a ricordarci che Virzì fin qui era sempre stato un maestro nello scegliere e nel dirigere gli interpreti dei suoi film) Roberto Herlitzka, Paolo Sassanelli e il tanto bravo quanto poco conosciuto Emanuele Salce.
Virzì prende spunto dai suoi primi passi nel caotico dietro le quinte del mondo del cinema capitolino ma non riesce a graffiare e a mantenere la necessaria lucidità, minata probabilmente da un progetto troppo sentito. Il cineasta livornese vorrebbe essere caustico e al contempo affettuoso nei confronti della nostra industria cinematografica, inquadrata in un delicato momento di transizione, con la gloriosa commedia all’italiana defunta da qualche anno e in attesa di nuovi talenti, di un necessario e salvifico ricambio generazionale. Uno showbiz logoro e fatiscente, popolato da produttori cialtroni a un passo dal fallimento e da scrittori anziani e sceneggiatori annoiati ormai al tramonto, intenti a sfruttare i più giovani, chiamati a scriverne i copioni senza poterli firmare. Resta il rimpianto per quello che Notti Magiche avrebbe voluto ma non è stato capace di essere, forse perché privo di uno sguardo che altrove ha saputo essere attento, curioso, partecipe, empatico e rispettoso dei personaggi attraverso i quali, in un percorso dietro la macchina da presa iniziato quasi 25 anni fa, Virzì ci ha raccontato le trasformazioni del nostro paese e che qui invece non ha saputo restituirci il piccolo/grande mondo di celluloide a cui il regista dimostra di essere troppo legato per poterne prendere le distanze e metterlo a fuoco a dovere.
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