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ONE NIGHT IN MIAMI…

ONE NIGHT IN MIAMI…

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L’orizzonte che non si lascia scrutare attraverso.

Nel quartetto che si ritrova in una poco confortevole stanza dello Hampton House Motel di Miami, ufficialmente per festeggiare il trionfo di Cassius Clay contro Sonny Liston in uno degli incontri di boxe più attesi di sempre, ci sono idee e geometrie contrastanti e polarizzate. La tensione interna della pièce di Kemp Powers nasce prima di tutto lì: il più giovane e il più anziano dei quattro (Cassius Clay e Malcolm X) vivono dentro una proiezione dei loro sogni di libertà e delle loro ambizioni che ha la violenza di uno slancio. Clay, che di lì a pochissimo sarebbe diventato Muhammad Ali, è giovanissimo, spaccone, estremo: è diventato “il più grande” nella boxe e ora vuole diventare un leader anche per i neri aderendo alla fratellanza musulmana, pensando già al Black Power. Malcolm X, anch’egli alla ricerca di una missione e di una sua purezza di cammino, non sopporta più di aderire ad una setta corrotta come la Nation of Islam, guidata da un mentore quale Elijah Muhammad ormai squalificato ai suoi occhi. Nessuno dei due amici vuole fare compromessi con quanto lo circonda, benché Clay ancora non sappia delle intenzioni dell’amico e fratello spirituale di uscire dalla congregazione alla quale egli si appresta ad aderire. Sam Cooke e Jim Brown, all’opposto (sono i due mezzani come età, appena sopra i 30 anni il cantante, appena sotto ma già celebratissimo il campione di football), si accingono a imboccare strade che suonano come una via di mezzo. Vogliono conquistare il consenso dei bianchi: uno con le sue canzoni (nel prologo del film Sam canta senza successo Tammy, popolare hit di Debbie Reynolds, davanti a una platea composta di bianchi per niente entusiasti), l’altro dandosi alla carriera di attore di cinema una volta chiusa la già leggendaria parabola come running back nella NFL.

Le posizioni sono chiare, ma lo diventano ancora di più. Tutti sono ad un passaggio decisivo delle loro ancora giovani esistenze. Tutti cercano di giustificare le loro scelte. Dibattono, divergono, si accusano reciprocamente, si scontrano: ma alla fine sono animati dal medesimo proposito. Mettersi in questione, cambiare la storia, scoprire il loro destino.

Regina King, all’esordio nella regia con questa trasposizione, non vuole schierarsi da nessuna parte, con buona pace di chi cerca il messaggio e pretende la morale a tutti i costi da un film. Lascia giocare i personaggi (ogni bel gioco è un gioco serio), lascia che emergano le contraddizioni di ciascuno, le ragioni, i crucci. Ma, soprattutto, li accompagna, questi personaggi. Cassius, Malcolm, Jim, Sam sono dentro la storia e vorrebbero farla. Mentre il cinema, da parte sua, è fuori dalla storia e ambisce solo a rappresentarla, incorniciarla, trasfigurarla. Due punti di partenza che corrispondono a due ulteriori visioni contrarie: la prima agonistica e orientata allo sconvolgimento, al cambiamento, alla rivoluzione. La seconda prospettica e votata alla sistemazione, al chiarimento, all’interpretazione. È in questo secondo grado di tensione interna e opposizione, speculare e ri-cercato, che si toccano e solidificano il valore e la forza di un film come One Night in Miami. L’incontro, il sogno di una notte, l’idealismo che si misurano con una resistenza ardua da definire, ma presente. L’orizzonte non si lascia scrutare attraverso, il reale non è razionale, la caligine vela il futuro ma anche il passato. Un film sulla distanza incolmabile tra aspirazioni e riuscita, sull’inafferrabilità dell’umano che si fa e che si perde. Nella vita e nella storia come nel cinema e nella rappresentazione. Come nell’Ali manniano, di cui Regina King coglie almeno una delle principali lezioni, l’impossibilità di mettere tutto a fuoco: il privato come il mondo.

voto_4

Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.