Il Paradiso ambiguo, molle e grottesco di Albert Serra.
A Tahiti, nella Polinesia francese, l’alto commissario della Repubblica De Roller inizia a indagare sulle voci, sempre più insistenti e incontrollate tra la popolazione locale, in merito a un sottomarino avvistato al largo della costa che indicherebbe l’imminente ripresa dei test nucleari sull’isola.
Inserito dai Cahiers du Cinéma al primo posto nella top ten dei migliori film usciti nel 2022, Pacifiction di Albert Serra arriva nei nostri cinema dal 18 maggio, distribuito dalla meritoria e coraggiosa Movies Inspired, dopo il passaggio in Concorso al 75° Festival di Cannes e dopo essere stato presentato in anteprima nazionale all’ultima edizione del Torino Film Festival.
Abbiamo avuto modo di assistere alla prima tappa del tour italiano di presentazione del film al Cinema Astra di Firenze, alla presenza del regista catalano che al termine della proiezione si è trattenuto a lungo col pubblico, dimostrando grande generosità e disponibilità, oltre a una parlantina travolgente e inarrestabile, che contribuiscono a renderlo un cineasta peculiare, anarchico e simpaticamente debordante. La sensazione, nell’ascoltare il regista al termine della visione di un’opera ostica e provocatoria, respingente e impegnativa, è che Serra abbia scritto e delineato il personaggio principale, interpretato da un monumentale Benoît Magimel premiato ai César come miglior attore protagonista, pensando in un certo qual modo proprio a se stesso. In Pacifiction, titolo felice e azzeccato composto da una sola parola che però al suo interno ne racchiude tre, l’alto commissario De Roller è quasi sempre impegnato in una serie d’incontri e appuntamenti con personaggi di vario tipo, contraddistinti dai suoi monologhi infiniti a cui le altre persone, salvo rari casi, assistono in silenzio, annuendo distrattamente o addirittura sonnecchiando. Se in principio De Roller ci viene mostrato e presentato come una persona importante e influente, a lungo andare sembra perdersi all’interno di un contesto e di uno scenario talmente complessi e stratificati da risultare indecifrabili e incatalogabili. Nell’evoluzione narrativa, che forse sarebbe più appropriato definire una marcata e calcolata involuzione anti-narrativa, niente appare avere senso o significato, almeno fino all’epilogo in cui emergono con forza tutto l’orrore e la follia umana insite nelle organizzazioni militari dei paesi occidentali che a qualcuno hanno ricordato gli umori e le atmosfere di Apocalypse Now. Serra procede per accumulo, mira volutamente a disorientare e sfiancare lo spettatore, a provocarlo e a disattendere continuamente le sue aspettative, stando sempre attento a non far esplodere la tensione ma a lasciarla implosa e sotterranea. Non ci sono scene madri o momenti topici in Pacifiction, a Serra non interessano affatto e se ne tiene alla larga, tagliando sul più bello la sequenza dove vediamo dei surfisti alle prese con onde giganti o portando a un nulla di fatto la ricerca notturna del misterioso sommergibile militare. L’autore catalano costruisce un film fluviale (165 minuti su un girato totale di oltre 500 ore attraverso l’utilizzo di tre macchine da presa) in cui a prevalere sono i ritmi ipnotici, dilatati e rarefatti calati in un’ambientazione esotica, vacua e astratta, fatta di resort e night club popolati da personaggi ambigui e decadenti. Gli scenari paradisiaci di Tahiti hanno subito una forte color correction in fase di post produzione, tesa a sottolineare l’artficiosità di luoghi che appaiono tuttora come residui tossici di un colonialismo molle e decadente, dove le relazioni politiche e sociali sono ridotte a conversazioni ridondanti e monologhi labirintici e interminabili privi di logica e significato. Nel suo primo film calato nella nostra contemporaneità dopo una serie di pellicole di ambientazione storica, Serra prosegue il suo discorso astratto e trasfigurato sulla natura umana per focalizzarsi ed esaminarne gli aspetti più folli, ridicoli e grotteschi.
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